martedì 5 giugno 2012

LA CAPPELLA DI ROSSLYN



Edimburgo è una città splendida dove il grigio cupo delle pietre e l’azzurro terso del cielo si fondono, creando una armonia unica che si mescola a quella delle cornamuse che di tanto in tanto risuonano agli angoli delle strade. Si sa… la Scozia è la Scozia: una terra di leggende, di storia e di spazi sconfinati che ti rapisce appena ne respiri l’aria.
Ad una ventina di chilometri a sud di Edimburgo troviamo il villaggio di Roslin. Una ipotesi farebbe derivare dal gaelico l’origine del toponimo, che significherebbe «antico sapere tramandato di generazione in generazione». Non siamo sicuri se a Roslin esista veramente un sapere nascosto che risale alla notte dei tempi, tuttavia è innegabile che questo minuscolo paese punteggiato da caratteristiche casette bianche e basse debba la sua fama ad un autentico enigma.
Seguendo le indicazioni del cartello segnaletico si imbocca un viottolo di campagna e si giunge dopo pochi minuti alla Cappella di Rosslyn, fondata nel 1446 da William St Clair (o Sinclair), ultimo Earl St Clair della contea di Orkney. All’esterno, essa è indecifrabile, quasi minacciosa, simile ad una scura sfinge pronta a sfidare con i suoi indovinelli il primo Edipo di passaggio, ma varcata la soglia, ecco che improvvisamente si viene catapultati dentro un manoscritto miniato. La ricchezza dei dettagli sui capitelli, sulle colonne, sul soffitto, ovunque si posi lo sguardo, suscita emozioni così profonde che lasciano letteralmente senza fiato. Viene spontaneo pensare alle parole del noto alchimista Fulcanelli che aprono il primo capitolo del suo libro Il Mistero delle cattedrali 1: «Fummo immediatamente trasportati, estasiati, colmi d’ammirazione, incapaci di staccarci dall’attrazione del meraviglioso, dalla magia dello splendore, dell’immensità, della vertigine che si sprigionavano da quell’opera più divina che umana». Rosslyn è a tutti gli effetti «un libro meravigliosamente figurato che dispiega fino al cielo i suoi fogli di pietra scolpita».
Questo capolavoro unico al mondo, tuttavia, ha rischiato di finire distrutto quando, con l’avvento della Riforma protestante, fu considerato un simbolo del potere papale e dunque un pericoloso luogo di idolatria, conoscendo così un lungo periodo di degrado e di abbandono durante il quale fu addirittura utilizzato come stalla.
Per la sua edificazione Sir William fece giungere scalpellini, carpentieri, muratori e fabbri da altre regioni della Gran Bretagna e persino da paesi stranieri, ma il progetto originale, che prevedeva una struttura più imponente, non fu mai portato a termine per la morte del nobile. Si dice che questi, forse sentendo avvicinarsi la fine dei propri giorni, abbia voluto ringraziare - o piuttosto ingraziarsi - Dio con uno spiegamento di forze e di energie creative senza pari, ma c’è anche chi sostiene che Rosslyn sia stata in realtà costruita per nascondere qualcosa di estremamente importante.
Esiste un mistero legato all’antica dinastia dei Sinclair.
«Vi ringrazio per avermi messo al corrente del segreto e giuro di non rivelarlo a nessuno, ma anzi di difenderlo con qualunque mezzo»: questa fu la criptica risposta di Maria di Guisa, madre della ben più nota Maria Stuarda, regina di Scozia, ad una lettera, del cui contenuto non conosciamo purtroppo niente, inviatale nel 1546 dall’allora Barone di Rosslyn 2.
Sono state formulate diverse teorie sulla natura del segreto che potrebbe trovarsi tuttora sotto le fondamenta della Cappella: dalla sacra coppa che, secondo la tradizione, fu usata da Giuseppe di Arimatea per raccogliere il sangue del Cristo durante la crocifissione e che è immortalata su una vetrata, a documenti scottanti con le prove della discendenza di Gesù Cristo e di Maria Maddalena, la cosiddetta roseline. Potrebbe non essere una coincidenza il fatto che Maria di Guisa, appartenendo ad una nobile famiglia francese discendente da un ramo cadetto della Casa dei Lorena, fosse legata ai primi re di Francia, i Merovingi, che sono stati identificati con la progenie del Graal ovvero con gli eredi di Gesù e della Maddalena.
Rosslyn, essendo un vero e proprio “santuario della tradizione” in cui Ebraismo, Cristianesimo e miti pagani coesistono finalmente in pace, potrebbe celare tra le sue mura anche manufatti che niente hanno a che vedere con la Cristianità e questo non fa che complicare e rendere più affascinante il mistero.
Basta guardarsi intorno per capire che questo è un luogo speciale, fuori dal tempo e dagli schemi: come in una bizzarra processione di qualche festività solenne, davanti agli occhi del visitatore sfilano angeli musicanti, curiose figure maschili in ginocchio con mantelli stretti attorno al collo (un possibile richiamo a riti massonici), un Mosè con le corna 3, un cavaliere armato di lancia, una coppia di amanti, il diavolo, una strana figura bendata con un cappio (di nuovo un richiamo alla Massoneria: il simbolo del cappio, essendo segno di legame, è spesso usato per indicare l’appartenenza ad una società o ad un gruppo), e i cosiddetti “uomini verdi”, riconoscibili dagli stami di fiori che fuoriescono dalla loro bocca, che nella religione celtica sono simbolo di fertilità.
Anche la Colonna dell’Apprendista 4, l’albero più stupefacente di questa selva fatata plasmata nella pietra, alla cui base otto draghi sputano, invece di fiamme, un tralcio fiorito che risale lungo tutto il fusto, è stata identificata con l’Albero Cosmico, Yggdrasill, quello della mitologia scandinava a cui Odino sacrificò se stesso, rimanendovi appeso per nove giorni e nove notti per accedere ai segreti della vera sapienza. Secondo la leggenda, questa magnifica colonna sarebbe stata terminata, senza autorizzazione, dal discepolo di un maestro scalpellino il quale, colto da rabbia ed invidia, avrebbe ucciso con un colpo alla testa il giovane apprendista. Non mi stupirebbe se il “colpo alla testa” fosse in realtà una metafora per indicare la trasmissione rituale di un sapere riservato a pochi eletti, e la frase in latino, tratta dal Libro di Esdra, che campeggia sull’architrave, potrebbe confermare questa ipotesi: «Il vino è forte, il re è più forte, le donne sono più forti ancora, ma la verità li supera tutti» 5. Rimane da scoprire di quale verità si tratti, forse una verità che conduce alla conoscenza di Dio e delle Sue leggi immutabili. La Colonna dell’Apprendista, dopotutto, assomiglia ad una scala a chiocciola che, come la scala della visione di Giacobbe, sembra collegare la terra al cielo, la materia allo spirito e l’uomo al proprio Creatore. Alle leggi di Dio 6 appartengono invece le regole della divina proporzione che sono alla base della creazione dell’Universo ed alle quali si è ispirata la nobile “scienza delle costruzioni”, che è stata applicata con estrema padronanza proprio qui a Rosslyn dai mastri costruttori, i frammassoni dediti all’edificazione “delle case di Dio” 7.
Lo stupefacente soffitto della Cappella, decorato da una pioggia di stelle e da un giardino di rose e di gigli, ricorda quello degli antichi templi dedicati ad Ishtar, la dea babilonese dell’amore e della guerra, figlia della luna e sorella del sole, e a Nut, divinità egizia del cielo. C’è però chi si è spinto oltre, ipotizzando che una sezione della volta sia coperta da un sistema stellare che riprodurrebbe, addirittura, la mappa degli Stati Uniti 8. Secondo la Cronaca di Zeno, un documento pubblicato nel XVI secolo ma ritenuto da alcuni studiosi un clamoroso falso, Henry St. Clair, il nonno di William, assieme a due navigatori veneziani, Antonio e Nicola Zeno, avrebbe raggiunto con dodici vascelli l’America quasi un secolo prima di Cristoforo Colombo, alla ricerca di un luogo sicuro e lontano dove nascondere il famigerato tesoro dell’Ordine dei Cavalieri Templari di cui Henry St. Clair sarebbe stato un alto esponente 9. Alcune raffigurazioni di aloe e mais, piante sconosciute in Europa prima della scoperta del Nuovo Mondo, su alcune colonne e su una architrave della Cappella, costituirebbero la prova certa di questo epico viaggio. È comunque difficile dire se si tratti veramente di aloe e pannocchie di mais poichè Rosslyn è come un gigantesco herbarium scolpito nella pietra, in cui piante e fiori sono rappresentati nello stile fantasioso dei miniatori medievali, dando perciò adito alle interpretazioni più disparate. Questo enigma botanico, tuttavia, mi riconduce con la mente ad una curiosa incisione che ho avuto modo di ammirare a Bibbona, in provincia di Livorno, dove sulla chiave di volta di un arco risalente al 1300 circa è ben visibile una spiga con una croce templare inscritta in uno sperone o disco solare: la figura assomiglia incredibilmente ad un girasole, solo che il girasole, originario dell’America settentrionale, è stato importato in Europa soltanto nel 1510!
La famiglia Sinclair vanta diversi antenati appartenenti al controverso Ordine del Tempio ed addirittura una Sinclair ne avrebbe sposato il fondatore, Ugo de Payns, ma di recente tali affermazioni sono state confutate poiché Henry e William Sinclair avrebbero testimoniato contro l’Ordine durante il processo del 1309 10. Potrebbe essere stato in realtà uno stratagemma per sviare eventuali sospetti dalla famiglia e dal suo segreto?
L’ultima cosa da vedere a Rosslyn, che di certo non è ultima per importanza, è la pietra tombale di William de St Clair (è evidente che il nome William andasse per la maggiore in questa famiglia), illustre antenato del fondatore di Rosslyn, che fu ucciso nel 1330 in Andalusia mentre portava il cuore di Robert the Bruce, re di Scozia, in Terra Santa.
Sulla lastra tombale, oltre alla scritta Knight Templar (Cavaliere Templare), sono incisi una spada e quello che a prima vista può sembrare un calice stilizzato in cui è inscritta una rosa-croce ottagonale con un fiore al centro. Per alcuni studiosi questa arcana ed elaborata figura costituirebbe un evidente riferimento al Santo Graal ed alla leggendaria confaternita segreta dei Rosa+Croce 11. Tuttavia l’associazione coppa+rosa richiama inequivocabilmente la Vergine Maria e, di nuovo, la Maddalena. La Vergine è, usando ancora una volta le parole del grande Fulcanelli, «il vaso che contiene lo Spirito delle cose: Vas spirituale». È anche la rosa mistica poichè la rosa è simbolo di perfezione e di rigenerazione. Ma anche la Maddalena è, per alcuni autori, il calice che accolse il sangue di Gesù, e la rosa, quando associata alla sua figura, diviene l’emblema di Venere. In realtà entrambe le Marie possono essere paragonate a dei ricettacoli, in quanto contenitori della sapienza universale 12.
Osservando bene il disegno sulla lastra tombale di Sir William esso ricorda anche una chiave, di quelle elaboratissime che in ogni racconto di avventura che si rispetti aprono il forziere o la porta di una stanza contenenti un tesoro. Resta tuttavia da scoprire, nel caso di Rosslyn, di quale tesoro si tratti: potrebbe essere un riferimento a quello dei Templari oppure al segreto della famiglia Sinclair? A proposito di chiavi misteriose voglio segnalare che su un capitello della cripta è raffigurato un piccolo San Pietro che stringe in mano soltanto una chiave e non due (in certi casi tre) come vuole l’iconografia classica. Potrebbe trattarsi di una semplice svista dell’autore oppure di un indizio.
Indubbiamente, queste sono tutte ipotesi affascinanti che accendono la fantasia, eppure la strana raffigurazione sulla tomba di Sir William non è unica nel suo genere e pertanto potrebbe essere meno criptica di quanto si pensi: durante un viaggio in Irlanda, infatti, ho avuto modo di ammirare decine di splendide croci, incise su antiche pietre tombali all’interno di chiese e cimiteri, che, per stile, si avvicinano moltissimo alla più nota “rosa-croce” di Rosslyn.
Rosslyn non termina di stupire e riserva un’altra incredibile sopresa. Tra le varie decorazioni che abbelliscono il soffitto, ci sono duecentotredici cubi definiti “musicali” poiché le complesse figure incise sulle loro facce sarebbero in realtà delle note che, se trascritte correttamente e poi riprodotte, condurrebbero chi le ascolta addirittura in Paradiso. La presenza, nella Cappella, di statue di angeli che reggono strumenti musicali non farebbe che avvalorare questa incredibile scoperta. Il compositore scozzese Stuart Mitchell è riuscito, grazie alle sue conoscenze, a decifrare il complicato codice e a produrre una melodia che egli ha definito “il Santo Graal della musica”, ma il fatto che alcuni cubi siano andati, nel tempo, distrutti potrebbe far sì che la composizione sia incompleta.
Secondo un altro studioso 12, il suono che si verrebbe a produrre porterebbe, a lungo andare, a stati alterati di coscienza, tanto che nel Medioevo questo tipo di accordo fu addirittura considerato diabolico e bandito dalla Chiesa cattolica.
Sappiamo bene che certe vibrazioni sono in grado di modificare la frequenza delle onde cerebrali e di liberare la mente dai pensieri - e perciò dalla cosiddetta “realtà illusoria” -, di renderla molto più ricettiva e, in certi casi, di risvegliarne od aumentarne le capacità: basti pensare ai mantra tibetani ripetuti al fine di raggiungere una elevata concentrazione ma anche a certe musiche utilizzate dagli sciamani di alcune culture del Sud America e dell’Africa per entrare in uno stato di trance ed accedere così al mondo degli spiriti e degli dei e conseguire visioni ed importanti insegnamenti.
È possibile che la funzione principale della Cappella di Rosslyn fosse quella di agire da cassa di risonanza? Lo stesso principio, dopotutto, si ritrova nelle grandi Cattedrali gotiche in cui le volte ad ogiva fungono da “vibratori sonori” per canti e musica che, amplificati, acquistano un potere benefico sulla mente di chi ascolta.
Viene da chiedersi se, in passato, a Rosslyn si tenessero concerti “proibiti”, forse a scopo iniziatico, atti a spalancare le porte del terzo occhio e, perciò, dell’anima, mettendo in questo modo l’uomo in comunicazione diretta con la sua parte più nascosta e sublime, ovvero quella divina. Questo spiegherebbe perché la Cappella raccoglie in sé le tradizioni di tanti culti diversi: l’Illuminazione è dopotutto il traguardo a cui hanno da sempre anelato i saggi, i mistici e i santi di ogni religione e di ogni epoca.





Alcuni anni fa ho avuto modo di leggere un romanzo intitolato, Le porte dei Templari, di Javier Sierra 13. È un libro appassionante in cui si parla di ingressi, stargate verso una dimensione superiore, nascosti all’interno di famose cattedrali gotiche.
Quale migliore anticamera per il Regno dei Cieli sarebbe Rosslyn, vera e propria cattedrale in scala ridotta!


Per approfondire…


1 Fulcanelli, Il Mistero delle cattedrali, Ed. Mediterranee 2005.

2 La lettera manoscritta di Maria di Guisa a Lord Sinclair è custodita alla National Library.

3 L’esempio più eclatante è il famoso Mosè di Michelangelo che a sua volta sfoggia un paio di corna. Le corna hanno assunto nella nostra religione una connotazione negativa in quanto associate al demonio e perciò al Male, ma in molte tradizioni primitive esse implicavano forza e potere tanto da essere spesso applicate sugli elmi dei guerrieri, mentre per altre rappresentavano la saggezza, l’eternità e l’abbondanza (basti pensare alla cornucopia). Erano inoltre un simbolo solare (vedi sui capitelli ionici). Nel caso di Mosè, le corna potrebbero rivestire quest’ultimo significato. In base a quanto racconta la Bibbia, quando Mosè scese dal Sinai emanava una luce così intensa che, per poter parlare al popolo, dovette coprirsi il volto con un velo. Sono propensa a credere che questo brano dell’Antico Testamento sia in realtà una metafora per indicare che Mosè aveva ricevuto una rivelazione importante anche se non sono sicura che egli abbia realmente messo al corrente il popolo di ciò di cui era venuto a conoscenza durante i quaranta giorni e le quaranta notti trascorse in solitudine sul monte Sinai (da qui il gesto simbolico di “coprirsi il volto con un velo”).

4 Il noto cercatore di Graal Trevor Ravenscroft sostiene che il Graal si trovi proprio all’interno della Colonna dell’Apprendista. È stato utilizzato un metal detector che ha rilevato, nel fusto, la presenza di un oggetto “delle dimensioni giuste” (dal libro An Introduction to Current Theories about The Holy Grail, di Chris Thornborrow). I ricercatori non hanno mai ottenuto il permesso di fotografare la colonna con i raggi-X.

5 Esdra (cap. I) 13,12.

6 Dio è definito il Grande Architetto dell’Universo. Adamo, Mosè, Pitagora, Euclide sarebbero stati tutti accomunati dalla conoscenza della geometria sacra tramite cui Dio rivela i segreti del Creato. Secondo alcuni testi massonici Adamo fu il primo grande iniziato ai misteri divini. Il suo successore fu Lamech, che, insieme ai figli, insegnò all’umanità le basi della geometria, della musica e dell’alchimia. Prima del grande diluvio, i figli di Lamech trascrissero le loro conoscenze su due grandi colonne di pietra che fortunatamente sfuggirono al disastro. Furono ritrovate da Hermes che, rendendosi conto dell’importanza della scoperta, decise a sua volta di trasmettere l’antico sapere alla “nuova” umanità. Costruì logge di adepti in Babilonia, edificò templi e palazzi straordinari ed inviò i propri fratelli in Oriente affinché diffondessero la conoscenza in tutto il mondo. Gli succedette Abramo che trasmise ciò che aveva appreso dal proprio Maestro agli Egiziani. La famosa piramide di Cheope, infatti, rispetta la regola della sezione aurea o proporzione divina, corrispondente al numero 1,618 (numero d’oro). In natura tale proporzione è riscontrabile anche nel corpo umano.

7 Sulle pareti della cripta di Rosslyn sono incisi numerosi simboli tra cui pentacoli, cerchi ed altri segni indecifrabili che potrebbero far parte del misterioso alfabeto utilizzato dai mastri costruttori per comunicare tra di loro senza essere compresi dai non iniziati.

8 Claire Smith, John Ritchie, The writing’s on the walls.

9 Il fatto che a Leith, il principale porto di Edimburgo, in cui esisteva una importante precettoria templare, andata poi distrutta, e da cui sarebbero passate le navi in fuga dei Cavalieri Templari con il tesoro del Tempio di Parigi, ci siano diverse strade nominate St Clair Street, St Clair Avenue o St Clair Place, dimostrarebbe che esisteva veramente una stretta connessione tra la famiglia dei St Clair di Rosslyn ed i Templari. La città di Leith fu inoltre uno dei fulcri nella lotta tra i Riformisti e Maria di Guisa: nel 1555 il barone di Restalrig vendette a Maria le terre di South Leith e nel 1560 è comprovata la presenza della principessa a Leith, protetta dalle truppe francesi.
Una delle più famose leggende di questa zona riguarda Sir Robert Logan di Restalrig, che sarebbe stato implicato nella cerca del tesoro perduto dei Templari assieme a John Napier, noto matematico, astronomo e fisico scozzese. Non sappiamo perchè Sir Robert si sia avvalso dell’aiuto di uno scienziato, il quale oltre che per le sue conoscenze astronomiche e matematiche era anche noto per la sua abilità nelle arti magiche. Esiste ancora il contratto (“contratto di magia”), oggi al Trinity College di Cambridge, che fu stipulato tra le due parti. L’accordo prevedeva che, qualora il tesoro fosse stato ritrovato, il contratto sarebbe stato distrutto, dunque è logico supporre che la ricerca di Sir Robert non abbia dato i frutti sperati.
Nel 1848, durante i restauri a South Leith Church, nella navata nord fu rinvenuta una bara, ricoperta di velluto rosso, che conteneva diverse ossa umane e, nel mezzo, un teschio. La cosa curiosa è che il teschio era privo della mascella inferiore. Dopo diverse indagini si giunse alla conclusione che si trattava proprio della sepoltura di Sir Robert. Tuttavia rimaneva il mistero della mandibola mancante. Il fatto è stato collegato ad una possibile affiliazione del nobile alla Massoneria Templare, che prevedeva un particolare giuramento secondo cui, a chi avesse rivelato i segreti dell’Ordine, per punizione, gli sarebbe stato «segato il cranio ed il cervello estratto e lasciato a seccare al sole». Infatti, oltre all’evidente mancanza della mandibola, il cranio di Sir Robert mostrava anche i segni causati da una lama dentellata. Potrebbe esserci però un’altra spiegazione. Quando a Saint Maximin-la-Sainte Baume in Provenza, presunto luogo di sepoltura di Maria Maddalena, fu aperto il sarcofago contenente le ossa della santa fu rilevato che: «La lingua, tra le ossa aride del capo, e malgrado l’assenza dell’osso mascellare inferiore, appare incorrotta, disseccata ma inerente al palato, e da essa esce un ramo di finocchio verdeggiante». A Gubbio, in Umbria, dove è stata ormai comprovata una forte presenza templare, presso l’Eremo di S. Ambrogio, nella parete d’ingresso della cripta della Maddalena, è visibile, poco distante dai gradini, una lapide, probabilmente un antico ossario, sormontata da un teschio mancante della mascella. Sono tutti elementi che potrebbero accennare all’esistenza di un particolare culto legato alla Maddalena, forse diffuso dai Cavalieri Templari, i quali erano particolarmente devoti alla santa.

10 Karen Ralls, The Templars and the Grail, Quest Books; 1st Quest edition.

11 Esistono due versioni della leggenda della nascita della misteriosa setta dei Rosa Croce: in una, l’ordine sarebbe stato fondato nel 1407 da un pellegrino tedesco, Christian Rosenkreuz, che era stato iniziato all’occultismo a Damasco ed in Terra Santa. Secondo l’altra, l'ordine sarebbe invece stato creato secoli prima, nell'anno 46, da un saggio gnostico, Ormus, originario di Alessandria d’Egitto, e dai suoi sei discepoli che, convertiti al Cristianesimo, fusero la religione cristiana con i misteri egizi e le dottrine iniziatiche ermetiche e pitagoriche. Rosenkreuz, venuto a conoscenza dei segreti dell’ordine, ne sarebbe in seguito divenuto gran maestro. Il romanzo Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutze, uscito nel 1616, illustra le basi della spiritualità rosacrociana.

12 Allan Brian, co-direttore del Gruppo scozzese di incontri paranormali.

13 Javier Sierra, Le porte dei Templari, Ed. Tropea 2006.

martedì 29 maggio 2012

L’ABBAZIA DI VALVISCIOLO

L’abbazia dei Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo 1, ubicata nelle vicinanze di Sermoneta in provincia di Latina, è tappa essenziale di un itinerario che si dipana tortuoso tra i miti e le leggende sorte attorno al controverso Ordo Militum Templi.
Il fatto che sulla storia di Valvisciolo pesino ancora molte incertezze per mancanza di documenti non fa che accrescere l’alone di mistero che circonda il complesso abbaziale, che si erge austero in un idilliaco paesaggio di uliveti e vigne. Fondato da monaci, probabilmente basiliani, esso sarebbe poi passato ai Templari, che si sarebbero occupati del suo restauro, ed infine ai Cistercensi, che, come ben sappiamo, erano legati ai Poveri Cavalieri di Cristo tramite Bernardo di Chiaravalle. Alla luce del fatto che dopo lo scioglimento dell’Ordine del Tempio alcuni dei suoi membri si sarebbero aggregati ad altre comunità monastiche, tra i Cistercensi di Valvisciolo vi potrebbero essere stati alcuni dei Templari che avevano in precedenza occupato l’abbazia ma purtroppo queste restano soltanto delle ipotesi non essendoci notizie scritte che possano fare chiarezza sui vari passaggi.
Scolpita nello splendido rosone della chiesa è stata ritrovata, qualche anno fa, una croce patente, ma per alcuni studiosi questa non costituirebbe la prova certa che appartenenti all’Ordine del Tempio siano vissuti, per un certo periodo, a Valvisciolo, poiché croci di questo tipo sono state rinvenute in altre abbazie, come quella di Casamari, in cui non è mai stata dimostrata una presenza templare. Ciò che questi studiosi non considerano è il fatto che l’Abbazia di Valvisciolo sia un vero e proprio scrigno di simboli arcani, molti dei quali facenti parte del “repertorio” dei monaci-guerrieri.
Ma andiamo per ordine ed iniziamo a descrivere il complesso abbaziale che appare spoglio, con pietre a vista, nel pieno rispetto dei canoni dei Cistercensi che non prevedevano orpelli architettonici poiché ritenuti futili ai fini spirituali. Nella loro Regola è infatti precisato che i monasteri dovevano essere organizzati in maniera funzionale, in modo da potervi trovare lo stretto necessario ovvero “acqua, un mulino, un orto e reparti per le varie attività, così che i monaci non debbano girovagare fuori: ciò infatti non reca alcun vantaggio alle loro anime”. È pertanto evidente che disciplina e rigore contraddistinguessero la vita quotidiana dei religiosi.
La chiesa ha una facciata a capanna composita su cui spiccano una finestrella rotonda e, al di sotto, un gigantesco rosone a dodici raggi, i quali, uniti tra loro da semicerchi, formano i petali di una rosa. Eviterò di dilungarmi sul numero dodici e sul cerchio in quanto ne ho già discusso in precedenza, mentre per quanto riguarda la rosa illuminanti sono le parole dello scrittore Umberto Eco: La rosa è una figura simbolica così densa di significati da non averne quasi più nessuno2. Centro mistico, simbolo delle nozze alchemiche, espressione di perfezione, emblema femminile per antonomasia associato ad Iside, Venere e alla Vergine Maria: questi sono soltanto alcuni esempi. Basti pensare che i significati cambiano di volta in volta a seconda del numero dei petali e del colore.
L’architrave del portale presenta, sui peducci, semplici decorazioni tra cui una figura umana che ricorda un orante: nell’iconografia cristiana l’orante rappresenta l’anima del defunto in preghiera ed, al tempo stesso, il desiderio di elevazione da parte dell’uomo, ma nel caso di Valvisciolo, le braccia, solitamente tenute sollevate verso il cielo, sono invece abbassate verso terra, quasi a voler trarre sostentamento e ricercare il legame perduto con essa. C’è anche una crepa che niente ha a che vedere con l’incuria umana o con l’inclemenza del tempo poiché essa è legata ad una leggenda medievale secondo cui, alla morte del Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay, avvenuta nel 1314, le architravi delle chiese dell’Ordine si sarebbero spezzate, compresa appunto quella dell’abbazia di Valvisciolo.
La lunetta sopra il portale è affrescata con la Vergine ed il Bambino, Santo Stefano, riconoscibile dai segni del martirio, ed un altro santo non ben identificabile, forse San Benedetto, mentre nell’intradosso dell’arco una mano benedicente accoglie il visitatore prima che questi varchi la soglia della chiesa. Quest’ultima opera, purtroppo, non è in buone condizioni, tuttavia sono ancora visibili, oltre la mano, quelli che sembrano due fiori stilizzati, che hanno immediatamente attirato la mia attenzione. Nell’affascinante saggio intitolato “Le Grotte, i Cavalieri, le Logge3 compare la foto di un affresco rinvenuto, durante i lavori di restauro, nell’intradosso dell’arco di una antica porta ubicata sul lato nord del Battistero della città di Osimo: si tratta di una croce templare e gruppi di stelle, che per la forma particolare ricordano i “fiori” di Valvisciolo e che secondo lo studioso ed esperto in simbologia medievale, Fabrizio Bartoli, potrebbero far parte di un codice segreto utilizzato dai Cavalieri dell’Ordine.
All'interno, la chiesa di Valvisciolo rispecchia la sobrietà dell’esterno: non molto ampia, con pilastri rettangolari poco slanciati e piuttosto massicci e pareti prive di affreschi. A sud di essa sono ubicati gli altri ambienti, che si articolano, come in ogni abbazia cistercense, attorno al chiostro quadrangolare, che costituisce, a mio avviso, la parte più interessante dell’intero complesso. È qui, infatti, che si ha la maggiore concentrazione di simboli.
Sulle pareti - soprattutto su una porzione d’intonaco originale della parete ovest - sulle colonnine e sul muretto perimetrale che circondano il giardino centrale, si trovano incisi, a volte semplicemente graffiti, spirali, quadrati, triplici cinte, stelle polari e nodi di Salomone. Un nodo molto grande, si trova, scolpito in rilievo, sotto la chiave di volta dell’antico refettorio posto sul lato sud del chiostro: la scelta di raffigurarlo nella sala in cui l’intera comunità si riuniva per consumare i propri pasti rivela come questo simbolo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, avesse per i monaci una particolare valenza spirituale. Lo stesso discorso vale per la triplice cinta, che a Valvisciolo compare per due volte, e per il “centro sacro” 4. La triplice cinta, figura risalente alla preistoria, è costituita da tre quadrati, posti uno dentro l’altro, e sembra abbia ispirato il famoso gioco del “filetto” che troviamo solitamente sul retro delle scacchiere 5. La presenza di questo simbolo in chiese ed abbazie, come nel caso di Valvisciolo, è stata dunque spiegata come una forma di svago per monaci annoiati, ma non è stato considerato il fatto che esso è spesso inciso su pareti verticali o in posizioni scomode, come ad esempio sui gradini di scale, e che esiste anche in versione circolare. Data la sua diffusione, questa figura ha dato origine ad una miriade di speculazioni per fortuna meno semplicistiche di quella appena menzionata: rappresentazione dei tre gradi di iniziazione esoterica (Renè Guenon), raffigurazione del Mondo terrestre, del Mondo degli astri e del Mondo divino (Louis Charbonneau-Lassay), emblema della Trinità cristiana, talismano magico-protettivo, percorso iniziatico o landmark usato per contrassegnare zone particolarmente energetiche 6. Per quanto concerne invece il cosiddetto “centro sacro”, questo è formato da uno o più quadrati nei quali sono iscritti otto (numero dell’infinito) raggi 6 ed è possibile che derivi dalla triplice cinta.
Tra tutti questi affascinanti simboli si distingue il palindromo SATOR 7, su cui è d’obbligo spendere qualche parola anche se, per la complessità dell’argomento, esso meriterebbe una trattazione a parte.
Il SATOR o quadrato magico ha come caratteristica il fatto di essere composto da parole che possono essere lette indifferentemente dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra e da sinistra verso destra.






S
A
T
O
R
A
R
E
P
O
T
E
N
E
T
O
P
E
R
A
R
O
T
A
S





Le parole sono latine ad eccezione della seconda, Arepo, che non compare in alcun vocabolario e che è stata interpretata come un nome proprio o spiegata con il termine di origine celtica àrepos, che significa "carro". Nel primo caso avremmo dunque «Il seminatore Arepo o Arepone tiene con cura le ruote» mentre nel secondo caso «Il seminatore, con o sopra il carro, tiene con cura le ruote». Entrambe queste “criptiche” traduzioni sembrano avere carattere religioso, dove il seminatore è in realtà Dio che vigila sul suo operato, ovvero sul mondo, e se per alcuni il SATOR è semplicemente un crittogramma utilizzato dai primi cristiani come segno di riconoscimento durante le persecuzioni di Roma, in quanto, spostando alcune delle lettere che lo compongono, si ricavano una croce e le parole PATERNOSTER, è altrettanto vero che le lettere possono essere combinate in così tanti modi da ottenere, di volta in volta, soluzioni sempre diverse, fra cui una invocazione satanica, che di religioso ha veramente poco!
Malgrado gli sforzi interpretativi di numerosi studiosi il contenuto del “quadrato magico” rimane tutt’ora un enigma; possiamo però affermare con certezza che il SATOR ebbe, per i popoli del passato, una grande importanza, dato che è stato rinvenuto in un numero vastissimo di siti archeologici, in varie parti d’Europa.
Il SATOR di Valvisciolo, tuttavia, si discosta dagli altri esempi in quanto le cinque parole che lo compongono non sono racchiuse in un quadrato bensì sono distribuite all’interno di cinque cerchi concentrici dal cui centro si dipartono cinque raggi che dividono la figura in altrettanti settori. Lo stesso disegno ad anelli, di dimensioni maggiori e privo di lettere, compare sul muro di sinistra del passaggio che conduce al chiostro. È palese che l’autore o gli autori abbiano voluto porre una particolare enfasi sul cinque che è numero sacro per eccellenza, tanto da essere alla base di molte figure geometriche “esoteriche” come, ad esempio, il pentacolo. Per la Cabala ebraica il cinque è un numero chiave, rappresentando infatti i vari livelli dell’anima, da Nefesh, l’anima inferiore legata al corpo fisico, a Yechidà, l’anima indissolubilmente unita con Dio. Se consideriamo che il misticismo ebraico ebbe, nel XIII secolo, terreno particolarmente fertile in Francia, che nelle credenze dei Templari vi erano probabilmente elementi di tradizione ebraica e che incisioni formate da cerchi concentrici, simili a quelle di Valvisciolo, sono state scoperte in edifici templari e a Royston, in Inghilterra, in una grotta dove i Cavalieri avrebbero tenuto riunioni segrete, ecco che si viene a creare un quadro generale in cui i membri dell’Ordine si collocano alla perfezione. Bianca Capone 8 aggiunge un tassello essenziale a questo intricato puzzle: analizzando i vari siti in cui il SATOR è stato riportato alla luce, la studiosa ha rilevato che molti di questi furono di proprietà dei Templari, ed è pertanto giunta alla conclusione che il SATOR sia stato utilizzato dai monaci-guerrieri per contraddistinguere “luoghi particolari”. Se le evidenze sembrano essere a favore dell'ipotesi secondo cui sarebbero stati i Cavalieri del Tempio a tracciare alcune delle enigmatiche incisioni sulle pareti dell’Abbazia di Valvisciolo resta comunque da individuare la vera ragione per cui i Cavalieri avrebbero adottato a Valvisciolo il simbolo del SATOR circolare. Riprendendo la tesi di Bianca Capone, possiamo formulare a nostra volta delle ipotesi:
1) Per segnalare che a Valvisciolo erano celati degli oggetti particolarmente preziosi?
Tra le numerose storie che circolano sui Templari c’è quella secondo cui, prima del famoso arresto in massa dei Cavalieri, sarebbero stati approntati tre convogli con il tanto favoleggiato tesoro dell’Ordine: un convoglio si sarebbe recato verso il porto de La Rochelle, uno verso la Linguadoca e l’altro verso l’Italia. I cavalieri diretti in Italia si sarebbero fermati prima in Liguria e poi nel Lazio, esattamente presso i loro confratelli di Valvisciolo. Questa tradizione sarebbe coerente con una leggenda che vuole che nei sotterranei dell’Abbazia sia stato un tempo nascosto parte del tesoro del Tempio, di cui avrebbero fatto parte il Santo Graal e l’Arca dell’Alleanza. Il cerchio viene spesso utilizzato per rappresentare la caverna o una qualunque cavità sotterranea.
2) Per indicare che a Valvisciolo erano custoditi i segreti della conoscenza templare?
Osservando con attenzione il SATOR di Valvisciolo, viene spontaneo pensare alla descrizione che il filosofo Platone fa della mitica Atlantide. Nel Crizia leggiamo che nel centro dell’isola atlantidea, in una vasta pianura, si ergeva una collina, che il dio Poseidone “rese ben fortificata” e “la fece scoscesa tutt'intorno, formando cinte di mare e di terra, alternativamente, più piccole e più grandi, l'una intorno all'altra, due di terra, tre di mare, come se lavorasse al tornio”. La figura che otteniamo, in base alla narrazione del filosofo greco, è proprio un insieme di cerchi concentrici. A ciò dobbiamo aggiungere il fatto che il continente atlantideo sarebbe stato un centro sapienziale, abitato da una razza molto evoluta. La pianta di Atlantide, dunque, potrebbe essere stata simbolicamente collegata alla Conoscenza. Senza tuttavia scomodare il mitico continente, il SATOR circolare assomiglia al disco solare, adorato e considerato da tutti i popoli antichi portatore di saggezza.
3) Per segnalare che nella zona su cui è sorta l’Abbazia l’energia tellurica è particolarmente avvertibile?
In effetti, nel caso del SATOR di Valvisciolo, i raggi che partono da centro potrebbero simboleggiare la forza irradiante proveniente dalle profondità della terra. Ciò confermerebbe che i Cavalieri Templari fossero adepti del culto della Grande Madre. Ma possiamo anche ricollegarci alla leggenda, citata in precedenza, che vuole che sotto l’abbazia siano stati custoditi il Graal e l’Arca dell’Alleanza, entrambi oggetti di grande potere emananti luce ed energia.
Per finire, il SATOR circolare ricorda, per la sua forma, un labirinto, un emblema che ritroviamo tra le decorazioni di alcune famose cattedrali gotiche come quella di Chartres in Francia e anche nelle pagine di alcuni testi alchemici e che simboleggia il faticoso e difficile percorso che il fedele deve intraprendere per potersi avvicinare a Dio.
Devo tuttavia ammettere che, nel momento in cui ho visto il SATOR di Valvisciolo, ho avuto la netta sensazione di trovarmi davanti ad un pentagramma musicale completo di note (le lettere del SATOR): la mia mente, infatti, ha spontaneamente ricollegato questa misteriosa figura al signum della influente famiglia Farnese, costituito da un albero tra le cui fronde spicca un curioso pentagramma circolare contenente note musicali che devono essere lette in chiave “ermetica” (In terra nostra flores apparuerunt, Romulado Luzi, Bonafede Mancini). Dopotutto non è nuova l’ipotesi che i Templari utilizzassero particolari codici musicali e a questo proposito rimando al capitolo sulla Cappella di Rosslyn.
A questo punto il lettore si sarà reso conto che non basterebbe un intero libro per descrivere e spiegare la complessa simbologia di Valvisciolo che, di certo, non fu tracciata a scopo ludico ma sembra piuttosto voler comunicare, in forma codificata, concetti che, per qualche motivo, dovevano rimanere segreti. L’impressione che nell’abbazia siano disseminati degli indizi è ulteriormente rafforzata dalla presenza di elementi che appaiono “fuori posto”, come una lucertola 9 scolpita alla base di una delle colonnine del chiostro o un piccolo volto abbozzato sullo stipite di una porta, che difficilmente possono essere considerati il frutto di un artista capriccioso.
La cosa si fa ancora più intrigante quando scopriamo che le mura esterne dell’abbazia presentano a loro volta dei segni, che purtroppo sono stati quasi cancellati dalle intemperie. Data la loro posizione, essi sembrano essere stati incisi con l’obiettivo di risultare visibili a chi passava nelle vicinanze dell’edificio. Di nuovo viene spontaneo pensare a dei messaggi criptici – forse degli avvertimenti, forse dei contrassegni - lasciati per qualcuno che era in grado di comprenderne il significato. Va a questo punto sottolineato che molti dei simboli descritti in queste pagine sono identici a quelli ritrovati graffiti sulle pareti della fortezza di Chinon, in Francia, in cui furono tenuti prigionieri il Gran Maestro templare Jacques de Molay ed il precettore di Normandia Goeffrey de Charney. Questo potrebbe non solo confermare l’esistenza di un codice segreto templare ma anche che i Templari furono un tempo stanziati a Valvisciolo.


Per approfondire…


1 L’origine del nome è incerta: potrebbe infatti derivare dal latino Vallis Lusciniea - valle dell’usignolo - o da Valle delle Visciole. La visciola è una qualità di ciliegia selvatica da cui si ottiene un ottimo vino ed altri prodotti alimentari.

2 Il nome della Rosa, Ed. Bompiani 1980.

3 Roberto Mosca, Angelo Renna, Osimo edizioni, pagina 22.
Osimo è nota per le sue gallerie e grotte scavate nel tufo che, poste su diversi piani, costituiscono una labirintica città sotterranea che si estende per parecchi chilometri. Un censimento parziale svolto negli anni ‘80 ha rilevato 88 tra grotte e nicchie e almeno un centinaio di pozzi.
Sulle pareti dei sotterranei vi sono dei bassorilievi o più semplici incisioni: è possibile ammirare alcune di queste opere nel tratto che è stato da poco aperto al pubblico, che, posto al di sotto di un antico convento francescano, mostra simboli tipicamente religiosi come croci e misteriose figure di frati i cui volti sembrano essere stati volutamente cancellati.
Le grotte di Palazzo Campana, in pieno centro storico, presentano stupefacenti bassorilievi rappresentanti personaggi tratti dalla mitologia pagana come Venere, Mitra, Bacco, mentre altri potrebbero essere d’ispirazione alchemica come una curiosa figura a due teste con coda di scorpione; altri ancora sfidano la comprensione umana con la loro oscura simbologia. Tutto questo sembra alludere ad un preciso itinerario esoterico ed è stato ipotizzato che all’interno di queste cavità si riunisse un Ordine iniziatico per svolgere cerimonie segrete.
Nelle grotte Simonetti sono ben visibili una Triplice Cinta scolpita nell’arenaria, considerata da Alfonso Rubino, noto studioso di geometria sacra, “la migliore sia al punto di vista geometrico che artistico”, e due croci ad otto punte, che non possono che rimandare ai Cavalieri Templari. Sotto via Matteotti c’è una delle grotte più interessanti, forse un antico mitreo romano, con bassorilievi di epoche diverse; in un corridoio, una piccola testa è stata identificata come il famoso Baphomet.
Ad Osimo esisteva una precettoria templare, considerata il più importante possedimento dell’Ordine nella regione. Inoltre i Templari osimani contavano tra i loro beni anche numerosi mulini e terreni. Potrebbe pertanto non essere campata in aria l’ipotesi che il misterioso Ordine che utilizzava i sotterranei di Osimo per i suoi riti di iniziazione fosse proprio quello dei Cavalieri Templari.

4 Molti dei simboli presenti a Valvisciolo sono stati ritrovati anche nella vicina Sermoneta, sui muri di alcune case del centro storico e di alcune chiese.
Incise sui gradini, sulle pareti e su una pietra del giardino della sagrestia della Cattedrale di Santa Maria Assunta (XII secolo) figurano alcune triplici cinte, croci patenti ed un centro sacro: un tale raggruppamento farebbe pensare che la chiesa o addirittura l’intero quartiere circostante fossero in passato di proprietà dei Templari che, dal 1162 al 1312, ebbero sede nel Convento di San Francesco; il convento era in origine un fortilizio che, dopo lo scioglimento dell’Ordine, passò ai frati francescani. Nella chiesa di San Michele Arcangelo (XII secolo) alla triplice cinta si aggiungono alcune stelle a cinque punte, che sono state rinvenute nel vicolo che porta fino all’edificio.
È curioso che sia la Cattedrale sia la chiesetta di San Michele siano sorte sui resti di due antichi templi pagani, con molta probabilità dedicati a Cibele e Maia, importanti divinità femminili legate alla Natura e alla Terra. Questo non farebbe che confortare la teoria secondo cui i Templari avrebbero creduto nella sacralità della Terra e nell’energia che da essa potevano derivare. A questo riguardo ci vengono nuovamente in aiuto le trascrizioni degli interrogatori che si svolsero a Firenze contro alcuni membri dell’Ordine, da cui apprendiamo che i Templari calpestavano la croce per trarne energia vitale” (per riferimenti vedi il capitolo su San Galgano). Siamo perciò nuovamente di fronte alla possibilità che i cavalieri del Tempio praticassero un culto naturalistico, di possibile ispirazione celtica, e a proposito di Celti è interessante notare che il magnifico borgo di Sermoneta ha una particolare struttura a spirale e che la spirale, in quanto rappresentazione dell’universo, era un motivo molto ricorrente nell’arte di questo popolo: poiché non esistono notizie precise sulle origini di Sermoneta c’è da chiedersi se una popolazione di origine celtica abbia vissuto in questo territorio, lasciando in eredità le proprie tradizioni e la propria simbologia.

5 Trovo significativo il fatto che un simbolo così complesso come quella della Triplice Cinta compaia associato alla scacchiera.
Formata da otto righe e otto colonne (l’otto oltre ad essere il numero dell’infinito è anche quello della conoscenza) di caselle bianche e nere, la scacchiera esprime la dualità, l’opposizione e la complementarietà dei principi: positivo e negativo, luce e oscurità, giorno e notte, maschile e femminile, e così via. Ma la scacchiera (e il quadrato in generale) corrisponde anche alla Terra, su cui l’uomo - il pedone - si muove a fatica tra le forze del Bene e del Male, cercando di superare gli ostacoli e di sopravvivere agli attacchi dei suoi “nemici” per dare infine scacco matto (dal grido persiano shah mat, il re è morto o sotto assedio). In questo modo egli si sostituisce al Re ottenendone lo status divino: nell’antichità, esisteva infatti il concetto che la regalità fosse un dono diretto di Dio. Siamo perciò di fronte alla concezione alchemica secondo cui l’essere umano può ritrovare e realizzare la sua essenza divina dopo aver portato a termine un determinato percorso.
La scacchiera - proprio come la Triplice Cinta - la possiamo trovare raffigurata in alcuni edifici religiosi, ad esempio nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, nel Duomo di Crema (CR), nel Duomo di Otranto (LE), nella Pieve di Sant’Agata a Scarperia (FI) e nella Pieve di S. Paolo Apostolo a Vico Pancellorum (LU).

6 Per approfondire l’argomento rimando al saggio di Marisa Uberti e Giulio Coluzzi, I luoghi delle Triplici Cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo?

7  Al momento uno dei SATOR più antichi è quello inciso su una colonna della Grande Palestra di Pompei. Tra i vari luoghi in cui il SATOR è stato ritrovato in Italia c’è la Collegiata di Sant'Orso ad Aosta, il Duomo di Siena, la Pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (Livorno) e la Certosa di Trisulti a Collepardo (Frosinone). Nella Pieve di Campiglia, scolpita all’interno della monofora della cappella di destra, è presente una figura umana, purtroppo priva di volto, che rappresenterebbe un contadino intento a spargere semi: potrebbe pertanto essere il misterioso “seminatore” citato nel SATOR.

8 B. Capone, L. Imperio, E. Valentini, Guida all'Italia dei templari. Gli insediamenti templari in Italia, Edizioni Mediterranee, 1997.

9 Un altro SATOR è raffigurato in un dipinto che si trova nel corridoio che conduce all’antica farmacia della certosa di Trisulti, a Collepardo in provincia di Frosinone.
La certosa fu costruita nel 1204 nei pressi di una abbazia benedettina e fu affidata prima ai Certosini ed infine ai Cistercensi di Casamari.
Purtroppo del complesso originario rimane ben poco in quanto fu completamente ristrutturato nel Seicento e nel Settecento e mostra pertanto una architettura barocca.
L’affresco con il SATOR fu realizzato, nel 1860 circa, dal pittore, filosofo ed esoterista napoletano Filippo Balbi. L’opera è piuttosto enigmatica in quanto raffigura il busto di un personaggio mitologico dalle inquietanti sembianze diaboliche, tale Abante, che sfoggia una folta barba bianca, una fronte spaziosa cinta da tralci di vite ed il petto ricoperto in parte da una pelliccia su cui penzola una zampa di capra e sui è posato un ramarro. Sul piedistallo spiccano non solo le parole del SATOR ma anche uno strano verso in rima: “Ma il cambiar natura è impresa troppo dura”.
Il fatto che una lucertola o un ramarro compaia anche nell’Abbazia di Valvisciolo, esattamente nel chiostro dove si trova anche il SATOR circolare, fa pensare che non si tratti di una coincidenza.
Tornando ad Abante, secondo la mitologia greca esso fu trasformato dalla dea Demetra in una lucertola per aver osato beffeggiarla. Dal punto di vista cristiano la lucertola, in quanto animale che cerca la luce del sole, rappresenta simbolicamente il desiderio di salvezza da parte dell’uomo, ma, per lo stesso motivo, possiamo collegarla anche alla saggezza, alla vera conoscenza. Inoltre la lucertola ha un’altra caratteristica che non va sottovalutata: essa muta la propria pelle più volte l’anno e pertanto esprime appieno il concetto di morte e rinascita. Questo potrebbe spiegare il significato della misteriosa iscrizione in versi nell’affresco di Balbi. Resta tuttavia da capire l’associazione, nel dipinto di Trisulti e a Valvisciolo, con il SATOR.









venerdì 18 maggio 2012

Il Sacro Speco di Subiaco


Nel 1461 papa Pio II lo definì un “nido di rondini”.
Il Santuario benedettino di Subiaco o Sacro Speco, una splendida struttura costituita da vari ambienti che si aggrappano letteralmente alle rocce a strapiombo del Monte Taleo, assomiglia piuttosto ad un nido di aquila. Su questo monte, alla fine del V secolo, si ritirò in preghiera Benedetto da Norcia: una scelta estrema che ricorda quella di altri eremiti “eccellenti”.
Di famiglia benestante, Benedetto fu inviato a Roma per compiere gli studi superiori ma rimase così sconvolto dalla dissolutezza e dalla corruzione che imperversavano a quei tempi nella capitale che fuggì, assieme alla fedele nutrice, ad Affile, nell'alta valle dell'Aniene. Da Affile si recò, da solo, a Subiaco, il cui nucleo si era sviluppato attorno agli antichi resti di una villa neroniana e dove già esisteva un monastero, retto da un certo abate Adeodato. Il giovane, desideroso di pace assoluta, trovò riparo in una piccola grotta (lo Speco), posta ai piedi del monastero, nella quale rimase per ben tre anni in meditazione, vestito di semplici pelli di capra ed ignorato da tutti eccetto che da un monaco, di nome Romano, che, di tanto in tanto, gli calava con una corda un po’ di cibo dalla rupe sovrastante. Furono anni aspri e terribili durante i quali non mancarono i momenti di disperazione. Si racconta infatti che l’eremita, preso dallo sconforto, stava per abbandonare il suo rifugio ma riuscì a vincere la tentazione gettandosi nudo tra le ortiche ed i rovi. Dopo questo lungo periodo di solitudine egli iniziò a ricevere la visita di alcuni pastori della zona che egli prese ad istruire sulla vera Fede. Fu quindi richiesto come superiore del monastero di Vicovaro, vicino Tivoli, ma per la sua eccessiva austerità si attirò l’odio dei confratelli che tentarono di ucciderlo offrendogli un calice di vino avvelenato, che, per miracolo, si frantumò nel momento in cui Benedetto lo benedì con il segno della croce. Benedetto tornò allora a Subiaco dove raccolse attorno a sé numerosi discepoli di ogni età e condizione sociale, tra cui barbari Goti, dando così vita ad una nuova esperienza basata sull’uguaglianza, sulla fratellanza e sulla Regola dell’ora et labora (preghiera e lavoro), che si rifaceva alla tradizione dei monaci orientali e che ben presto sarebbe stata adottata da tutte le comunità monastiche d’Occidente. Al primo monastero che Benedetto fondò a Subiaco se ne aggiunsero altri dodici più piccoli, composti ciascuno da dodici monaci guidati da un abate, ma purtroppo l’invidia da parte del clero locale ed un nuovo tentativo di avvelenamento costrinsero Benedetto a lasciare la casa-madre assieme ad un gruppo di fedelissimi. Si diresse a Cassino dove, nel 529 circa, fondò sopra un pre-esistente tempio pagano dedicato al dio Apollo uno dei più celebri monasteri d’Europa: Montecassino. Benedetto vi morì il 21 marzo (primo giorno di primavera) in un anno imprecisato tra il 547 ed il 550.
Chi ha letto il precedente post su San Galgano avrà notato che esistono delle intriganti analogie tra le vite dei due santi: similitudini che ritroviamo nella storia di San Francesco d’Assisi, la cui immagine, una delle più antiche che sono giunte fino a noi, è dipinta su una parete del Sacro Speco. Tutti e tre provengono da famiglie abbienti: il padre di Benedetto è Capitano Generale dei romani a Norcia mentre la madre è una contessa, la famiglia di Galgano appartiene alla piccola nobiltà locale e quella di Francesco alla borghesia. Tutti e tre, ad un certo punto, decidono di spogliarsi di ogni loro avere per condurre una vita di ascesi a stretto contatto con la Terra: un ritorno alle origini, rappresentato dalla scelta di ritirarsi in una grotta per quanto riguarda Benedetto e Galgano e nelle foreste per quanto riguarda Francesco. Quest’ultimo, addirittura, dedicherà a Madre Natura e ai suoi quattro elementi un magnifico cantico, conosciuto come Cantico delle Creature o di Fratello Sole. Infine il numero dodici: dodici sono i monasteri che Benedetto fonda dopo quello di Subiaco e dodici sono i monaci che li compongono, dodici sono i saggi che Galgano vede in sogno, dodici sono i compagni con cui Francesco inizia la sua predicazione.
In numerologia il dodici riveste una notevole importanza. È definito, infatti, il numero della completezza poiché riunisce in sé la materia (5) e lo spirito (7) = 5 + 7, ed è anche il numero della manifestazione della Trinità (3) sulla Terra (4) = 3 X 4, e non è dunque  un caso che dodici siano le tribù di Israele citate nell’Antico Testamento, gli Apostoli di Gesù Cristo, i segni dello zodiaco, i pianeti, i mesi dell’anno e le fasi del processo alchemico. Da sottolineare, inoltre, che esso può identificarsi anche con il cerchio, che è la forma geometrica più perfetta. Nel suo libro Il Re Del Mondo (Roma, 1950), Renè Guenon riporta le parole di Saint-Yves d'Alveydre, figura di spicco nel campo dell'esoterismo: “il cerchio più elevato e più vicino al centro misterioso è composto da 12 membri che rappresentano l’iniziazione suprema (facoltà, virtù, conoscenza)”. A questo proposito è interessante notare come uno degli emblemi di San Benedetto sia il corvo. Fu infatti l’intervento miracoloso di questo animale a salvarlo dal secondo tentativo di omicidio perpetrato dall’invidioso prete Fiorenzo; dalla Chiesa Superiore dell’Abbazia si accede ad un ampio cortile detto appunto "dei Corvi". In passato, qui si allevavano alcuni corvi per ricordare che fu proprio uno di questi uccelli che sventò il tentativo di avvelenamento perpetrato ai danni di san Benedetto, portando via, tra il suo becco, la pagnotta avvelenata che il prete Fiorenzo aveva offerto al santo. In simbologia, il corvo è associato alla morte iniziatica a cui il neofita di ogni culto misterico deve sottoporsi per poter rinascere in un essere illuminato ed, in alchimia, per via del suo colore scuro, esso rappresenta il primo stadio di trasmutazione della materia, la nigredo o opera al nero, corrispondente al processo di putrefazione che “distrugge la vecchia natura” e trasforma i corpi “in un nuovo stato” per far loro ritrovare una nuova vita (Pernety, 1758). È proprio questa fase di completa trasformazione che il giovane Benedetto attraversa, rinunciando al proprio passato per intraprendere il rigoroso cammino del monaco.
Entrando nel Sacro Speco di Subiaco è difficile non rimanere colpiti dai numerosi riferimenti all’antichissima scienza dell’alchimia o scienza di Dio, il cui obiettivo era quello di perfezionare l’essere umano. I vivaci colori utilizzati per gli affreschi tra cui prevalgono il nero, il verde, il bianco, il rosso e l’oro, ognuno con un particolare significato secondo la tradizione alchemica, le complicate forme geometriche che decorano pavimenti e pareti, tra cui spiccano cerchi, nodi e labirinti, figure smaccatamente esoteriche, la presenza di scale che mettono in comunicazione i due livelli della chiesa, inferiore e superiore, e le varie cappelle che sembrano costituire un percorso spirituale ben preciso, esprimono tutti un messaggio divino volto a risvegliare e cambiare permanentemente chiunque decida di ascoltarlo, e la conferma ci arriva da Gregorio Magno quando cita, nel II libro dei suoi Dialoghi, l’episodio di una pazza che, fermatasi a dormire nello Speco, “Al sorgere del giorno ne uscì fuori, ma con la ragione in così perfetto equilibrio, come se non avesse mai sofferto di malattia mentale”.
Per accedere ai locali del santuario si deve passare attraverso una porta piccola e stretta che, di primo acchito, può sembrare incongruente rispetto all’imponente struttura circostante ma che in realtà vuole essere di monito al visitatore, il quale, se vorrà intraprendere il difficile cammino di crescita spirituale, dovrà farlo con grande umiltà, lasciando fuori le proprie smanie di grandezza ed il proprio orgoglio.
Un corridoio illuminato da archi immette nella sala detta del Capitolo Vecchio, dalla quale si entra nella Chiesa superiore. Solitamente è da questo livello che comincia la visita al complesso, tuttavia per il nostro viaggio dell’anima dobbiamo scendere e compiere il percorso a ritroso, partendo dal basso, dalla Sacra Grotta, simbolicamente illuminata da dodici lampade. In questo modo raggiungiamo la prima tappa, che è l’alchemica discesa nella materia informe, nel principio originale, nelle viscere della terra feconda in cui l’uomo, simile ad un seme, può spogliarsi lentamente del proprio involucro esterno e germogliare a nuova vita.
Dalla caverna si sale al piano superiore decorato con scene di vita di Benedetto, realizzate nel XIII secolo da un certo Magister Conxolus.
Di particolare interesse sono due affreschi, il “Miracolo del Goto” ed il “Miracolo di S. Placido”, nei quali troviamo raffigurato uno dei laghi artificiali che furono creati per la suntuosa villa di Nerone. L’elemento principale dei due dipinti è dunque l’acqua, la sorgente della Vita, che è collegata alla seconda fase dell’opera alchemica, l’albedo o bianchezza, perché è grazie al “lavaggio” che è possibile passare dalla nigredo all’albedo, dal colore nero al colore bianco, e non può essere una coincidenza che in tutte e due le scene l’artista abbia voluto contrapporre alla veste scura del santo l’assoluto biancore del lago neroniano. Tuttavia per portare a termine la seconda tappa di questo itinerario alchemico sono necessari altri due elementi, la luna e la Regina bianca. Il “Miracolo del Goto” è, in questo caso, piuttosto significativo in quanto San Benedetto è qui raffigurato mentre immerge nell’acqua il bastone del contadino Goto, ricongiungendo miracolosamente ad esso il falcetto caduto, la cui forma ricurva è proprio quella della luna crescente.
Passando sotto una volta decorata con pavoni e cigni e scendendo per la cosiddetta Scala Santa, arriviamo alla Cappella della Madonna. Abbiamo così trovato il terzo emblema dell’albedo, ovvero la Regina.
L’albedo è solitamente simboleggiata dalla figura della dea Venere/Afrodite identificata come “stella del mattino”, che, nelle Litanie Lauretane, è, guarda caso, un epiteto associato a Maria.
Nella Cappella a Lei dedicata si possono ammirare l'Annunciazione, la Vergine Madre della Chiesa, la Madonna in trono col Bambino, l'Assunzione e l'Incoronazione: in questi due ultimi affreschi, Maria è abbigliata di bianco. Secondo l’iconografia medioevale occidentale la veste candida la identificherebbe come la Madre-Chiesa sposa del Cristo, un concetto non dissimile da quello espresso in alchimia, secondo cui la Regina vestita di bianco è la sposa che incarna il principio femminile che, unendosi al principio maschile rappresentato dal Re vestito di rosso o sposo, realizza le nozze alchemiche, grazie alle quali spirito e materia diventano finalmente tutt’uno: è da questa fusione di opposti che si ottiene la perfezione. Gesù, considerato l’uomo alchemico per eccellenza poiché è colui che mostra la vera Via, è collegato al colore rosso che è quello del fuoco (Io sono venuto a mettere il fuoco nella terra, e come vorrei che fosse già acceso! - Luca, XII, 49) e quello del sangue che Egli ha versato per l’umanità e che altro non è che forza trasmutatrice.
Giungiamo all’ultimo livello, alla Chiesa superiore, dove si consuma, prima, il dramma del Cristo, simboleggiato dalla Passione e dalla maestosa Crocifissione alla quale assistono le pie donna, vestite a loro volta di bianco, ed infine si inneggia alla vittoria finale sulla morte, la Resurrezione, la fase conclusiva dell’Opera alchemica o rubedo, che trova espressione attraverso la mitica fenice che rinasce dalle proprie ceneri proprio come il Cristo risorge dal sepolcro.
Il cammino termina con la consapevolezza che porta l’uomo a riconoscere la propria divinità interiore e a ritrovare la scintilla del Dio-Padre in tutte le creature e in tutte le manifestazioni.
L’alchimia era scienza conosciuta ai monaci benedettini, i quali annoverarono tra le loro fila i noti studiosi Basilio Valentino e Dom Antoine Pernéty, e trovo alquanto indicativo che il fondatore dell’Ordine sia sfuggito a ben due tentativi di omicidio per mezzo del veleno, sostanza che nella tradizione alchemica simboleggia il Caos, e che sia il santo patrono dei chimici.
Può tuttavia sorprendere che dei semplici monaci fossero anche degli eruditi ma la ricerca del sapere era, ed è tuttora, una componente essenziale della vita dei Benedettini, che furono anche rinomati copisti e miniatori. Basti pensare che la giornata dei monaci è ancora oggi organizzata in modo da esserci sempre il tempo necessario da dedicare alla lettura e allo studio. Le biblioteche dell’Ordine erano considerate veri e propri centri di cultura, in quanto raccoglievano innumerevoli libri ed antichi manoscritti, sia di autori cristiani che pagani, provenienti da molte parti del mondo, ed è pertanto logico che tra questi figurassero anche preziosi testi alchemici ed esoterici. Un esempio fra tutti è il Codex Rhenovacensis che proviene dalla biblioteca dell'abbazia benedettina di Rheinau, presso Zurigo.
Se consideriamo il Graal una metafora della vera conoscenza che porta all’illuminazione è lecito affermare che il monastero benedettino, così ricco di simbolismi, racchiuda tra le sue mura l’essenza stessa del Graal; se identifichiamo il Graal con la Madre Terra, ricordiamo che nel Sacro Speco è preponderante la pietra che costituisce l’ossatura della Terra stessa, da quella del monte Taleo che letteralmente abbraccia il complesso a quella della grotta su cui esso è stato edificato; se infine lo riteniamo un oggetto di culto legato a Cristo ecco che ci attende un’ultima sorpresa: si tratta di un piccolo affresco, quasi nascosto nel fondo di una nicchia scavata in una delle pareti della Chiesa Superiore, che raffigura un giovane Gesù imberbe alla maniera bizantina con le tipiche ferite al costato e sul dorso delle mani da cui scendono rivoli di sangue ed un calice d’oro, posto ai suoi piedi, da cui emerge un’ostia insanguinata. Come se non bastasse, possiamo trovare riassunti i molteplici aspetti del Graal nello spettacolare pulpito di marmo, la cui copia è visibile anche lungo il sentiero che conduce al monastero. Sormontato da un’aquila, animale associato all’apostolo Giovanni ma anche messaggero solare e perciò portatore di luce, esso sfoggia, nei suoi riquadri, simboli arcaici dai profondi significati occulti legati alla sapienza, alla geometria divina, al femminino sacro, come fiori della vita, rose canine e pentacoli.
Tutte queste caratteristiche, senza dubbio, rendono il monastero di Subiaco uno dei luoghi più spirituali e suggestivi d’Italia e pertanto ne consiglio vivamente la visita che lascia non solo una grande pace interiore ma anche la sensazione di essere finiti tra le righe di un testo segreto contenente la soluzione per svelare il grande mistero della vita e del cosmo.






«Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso, tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto».(Ermete Trismegisto)