lunedì 14 maggio 2012

IL PRINCIPATO DI SEBORGA


Il Principato di Seborga si trova nell’entroterra ligure, sulla rinomata Riviera dei Fiori.
Sui monti circostanti una tribù celtica tumulava i propri defunti e sembra che gli eretici Catari ritenessero la zona così sacra da sceglierla, a loro volta, come luogo di sepoltura per i loro sacerdoti: questo spiegherebbe l’origine dell’antico nome di Seborga, Castrum Sepulcri, il sepolcro.
Feudo dei Conti di Ventimiglia fino al 954 il castello fu poi ceduto ai monaci benedettini dell’abbazia di Lérins e nell’anno mille divenne Principato del Sacro Romano Impero con a capo un Principe-Monaco investito dal papa dell’autorità temporale e spirituale.
Nel 1117 Bernardo di Chiaravalle, noto teologo francese e fondatore dell’abbazia di Clairvaux, raggiunse a Seborga due suoi confratelli, i monaci Gondemar e Rossal: si dice che questi fossero giunti qualche anno prima con il compito di salvaguardare un “Grande Segreto”, lo stesso che, nel 1127, durante una solenne cerimonia a cui avrebbe partecipato anche il sacerdote cataro Giovanni de Usson, l’abate Bernardo avrebbe giurato di proteggere con un voto di silenzio.
Da Seborga Bernardo di Chiaravalle espanse l’ordine dei monaci cistercensi, trasformando il piccolo Principato nell’unico Stato Sovrano Cistercense al mondo.
Nel settembre 1118 il Principe-Monaco Edouard, su richiesta di Bernardo, consacrò i primi nove Poveri Compagni d’Armi di Cristo, che costituiranno poi il nucleo originario dell’ordine monastico-militare dei Templari. A novembre dello stesso anno, otto di loro lasciarono il Principato per recarsi a Gerusalemme, mentre il nono, Hugues de Champagne, per ragioni ancora sconosciute, raggiunse i propri compagni sei anni più tardi.
Nel 1127 i cavalieri si ritrovarono a Seborga, dove ad attenderli c’erano Bernardo e frate Gérard de Martigues, il fondatore dell’Ordine Ospedaliero dei Cavalieri di San Giovanni, e in quell’occasione l’abate nominò il primo Gran Maestro templare: Hugues de Payns.
Per il fatto che a Seborga esista questa tradizione possiamo supporre che il Grande Segreto che, per secoli, avrebbe miracolosamente difeso il Castrum da distruzioni, saccheggi e persino catastrofi naturali, possa essere legato alle sensazionali scoperte che sono state attribuite proprio ai primi nove Poveri Cavalieri di Cristo che si recarono in Terrasanta per difendere i pellegrini in visita ai luoghi sacri della Cristianità. Essi avevano avuto il permesso da Baldovino II, re di Gerusalemme, di accamparsi sui resti dell’antico Tempio di Re Salomone (da qui il nome di Templari) e, una volta stabilitovi il loro quartier generale, secondo fonti non ufficiali, avrebbero intrapreso numerosi scavi nelle labirintiche fondamenta alla ricerca di quelle sacre reliquie che si diceva fossero state nascoste dai sacerdoti prima del saccheggio e della distruzione del Tempio da parte dei romani.
Tra le altre ipotesi che sono state formulate per spiegare la natura del segreto seborghino ci sono le bende che avvolsero il corpo di Gesù Cristo, l’autentica Sindone, i chiodi della Croce ed il mitico Santo Graal.
L’Ordine templare tenne, a Seborga, l’ultimo Capitolo generale nel 1611.
Nel 1729, il Principato fu venduto a Vittorio Amedeo II, Principe di Savoia, Piemonte e Re di Sardegna, sebbene la transazione risulti non essere mai stata registrata né pagata: infatti nel 1815, durante il Congresso di Vienna, esso non fu citato come facente parte del Regno di Sardegna.
La sua indipendenza fu riconosciuta fino al 1946. Con la costituzione della Repubblica, infatti, l’antico Principato fu automaticamente considerato parte integrante dello Stato italiano ma nel 1962 i seborghini si ribellarono a Roma, proclamando la loro indipendenza - mai riconosciuta ufficialmente - ed eleggendo, un anno più tardi, il loro principe, Giorgio I.
Il principe Giorgio che, malgrado il titolo altisonante, non vantava nobili origini in quanto prima di divenire regnante faceva il coltivatore di mimose, si trovò nel mezzo di una disputa dinastica, dopo che una certa Yasmine von Hoenstaufen, alias Gelsomina Aprile, di professione giornalista ed archeologa, dichiarandosi discendente di Federico II, di Isabella d’Inghilterra e dello stesso conte di Ventimiglia, erede delle sacre reliquie del Golgota, un tempo conservate a Seborga, titolare del Regno di Sicilia, Italia, Arles e Gerusalemme, rivendicò la sovranità del borgo, definendo Giorgio I «un usurpatore».
Tra le altre dichiarazioni rilasciate da Yasmine von Hoenstaufen - tutte comprovate da documenti “scientificamente attendibili” appartenenti agli Archivi inediti della principessa - ce ne sono alcune concernenti argomenti su cui, negli ultimi anni, sono stati versati, ed in molti casi sprecati, fiumi di inchiostro. La più interessante riguarda senza dubbio la sensazionale scoperta della tomba contenente le spoglie mortali di Gesù Cristo, che la principessa-archeologa avrebbe identificato nell’abbazia benedettina di S. Michele a Saint-Genis de Poully in Provenza. A resuscitare, infatti, non sarebbe stato il corpo fisico del Messia bensì quello spirituale. Questa non è una novità: lo stesso concetto è espresso in alcuni Vangeli apocrifi come quello di Filippo, in cui leggiamo che «La carne ed il sangue non possono ereditare il Regno di Dio», o quello di Giuda Iscariota in cui Gesù ordina al discepolo di sacrificare «... l’uomo entro cui io sono» così da potersi liberare del proprio corpo terreno, considerato un semplice involucro di carne.
Secondo la principessa Yasmine, fu Maria Maddalena, soprannominata la donna scarlatta per via del colore del suo mantello, iniziata e sacerdotessa, a mettere in salvo il corpo del Cristo con l’aiuto di Giacomo il Giusto, fratello di Gesù. Giacomo e la Maddalena, in seguito, si sarebbero sposati in Provenza, dando così origine alla dinastia Merovingia, la sacra progenie del Graal, a cui, guarda caso, apparterrebbe proprio la casata degli Hoenstaufen.
Che Gesù avesse dei fratelli e delle sorelle non è una di quelle invenzioni new age che tanto vanno di moda in questi ultimi anni: ne troviamo infatti notizia sia nel Vangelo di Marco sia in quello di Luca. Giacomo detto il Giusto, diretto successore di Gesù dopo la morte di questi, fu sommo sacerdote della Chiesa di Gerusalemme e, benché il suo operato sia stato in seguito minimizzato in favore di quello di Pietro, fu un personaggio di spicco all’interno della comunità cristiana. I Naasseni, un gruppo gnostico piuttosto popolare nel II secolo, sostenevano addirittura di essere i depositari di un corpus di insegnamenti segreti ricevuti dal “fratello del Signore” attraverso un intermediario femminile, una certa Mariamne (o Mareim o Mariam), sacerdotessa di Gerusalemme di cui, purtroppo, non sappiamo niente: dal nome, però, possiamo dedurre che si trattasse o di Maria, madre di Gesù e Giacomo, o della Maddalena.
È innegabile che Maria Maddalena continui ad infiammare la fantasia di molti ricercatori e scrittori e al di là di delle numerose invenzioni che circolano sul suo conto non è da scartare l’ipotesi che il suo ruolo originale fosse molto diverso da quello di peccatrice pentita e redenta «dalla quale erano usciti sette demoni» (Luca, 8:2) che ci è stato tramandato dalla tradizione.
Maria Maddalena viene ricordata come colei che unse con profumi costosi il Messia (termine ebraico che significa unto) prima e dopo la crocifissione ed è pertanto sempre raffigurata con un vasetto contenente unguenti aromatici. Il gesto dell’unzione era in realtà molto diffuso. Nella tradizione biblica era riservato ai re ed ai sacerdoti mentre per gli gnostici rappresentava, assieme al battesimo, una fase essenziale per la crescita spirituale. Ricorda inoltre un particolare rituale egizio legato alla dea Iside, attraverso il quale ella passava simbolicamente il proprio sapere al Faraone, e riti sumeri e babilonesi, in cui la cerimonia dell’unzione del sovrano - atto simbolico di consacrazione - avveniva per mano di sacerdotesse.
Alcuni rituali, come appunto quello sumero, prevedevano anche il rapporto sessuale finalizzato all’esperienza del divino attraverso l’estasi, il cosiddetto matrimonio sacro tra la grande sacerdotessa, incarnazione della dea e della Terra, ed il monarca, incarnazione del dio e del Cielo. In tutte le comunità del Medio-Oriente erano presenti pratiche similari, anche se alcune di esse avevano come obiettivo primario l’incremento delle nascite all’interno della comunità e spesso avvenivano dietro pagamento. Si trattava quindi, a tutti gli effetti, di una forma di prostituzione ritenuta però sacra in quanto praticata all’interno del tempio in onore di divinità preposte alla fertilità. Se la Maddalena fosse stata votata alla celebrazione di tali riti, si verrebbe a giustificare il motivo per cui fu designata con l’appellativo di prostituta, con l’accezione negativa di peccatrice dal punto di vista cristiano.
Di questo controverso quanto complesso personaggio colpisce in particolar modo il fatto che il suo culto abbia avuto una così enorme ed inspiegabile diffusione sebbene nei Vangeli sinottici il suo ruolo sia marginale e spesso confuso. Che già tra i primi Cristiani la figura della Maddalena fosse oggetto di particolare devozione è dimostrato dal ritrovamento, in una delle basiliche paleocristiane facenti parte del complesso di Cimitile vicino Nola, di una antichissima immagine della santa in abito regale e con la testa cinta da una corona, elementi che sono solitamente associati alla Vergine Maria. Nell’iconografia tradizionale non sono molte le sante ritratte con una corona o nell’atto di essere incoronate in quanto questo oggetto, originariamente attributo degli dei pagani, indica non solo la nobiltà di chi lo indossa ma anche l’evoluzione massima dello Spirito. Poichè il dipinto di Cimitile è anteriore alla prima raffigurazione della Madonna in veste regale, è lecito dedurre che la Maddalena abbia avuto una influenza molto più rilevante sulla storia del Cristianesimo degli esordi di quanto ci è dato credere ed i testi gnostici facenti parte della biblioteca di Nag Hammadi, soprattutto quelli di Filippo e di Maria, non fanno che confermare questa ipotesi. In essi la Maddalena è definita «discepola amata» e traspare che il Messia la anteponesse a tutti i suoi seguaci, trasmettendole segreti che non aveva rivelato ad altri. In un altro manoscritto, il Dialogo del Redentore, è descritta come «una donna che sapeva tutto» mentre nel Libro del Salvatore, è evidente il suo rapporto privilegiato con Gesù: «Tu beata, Maria. Ti renderò perfetta in tutti i misteri dell’alto. Parla apertamente tu il cui cuore è rivolto al regno dei cieli più di tutti i tuoi fratelli».
Nobildonna, prostituta, indemoniata, sposa di Gesù, discepola prediletta: queste sono soltanto alcune delle descrizioni, spesso contrastanti, che troviamo nelle pagine di antichi manoscritti e di testi più recenti. A questo punto è logico porsi il seguente quesito: è possibile che Maria Maddalena non sia mai vissuta e che sia solo una figura simbolica creata dagli autori dei Vangeli per rappresentare la Sapienza di Dio o Sophia ?
Iconograficamente la Sapienza è vista come una donna incoronata, il che ci riconduce all’affresco di Cimitile, o come una regina avvolta in abiti suntuosi e con le mani ed il viso dipinti di rosso, che è il colore del manto della Maddalena. A questo dobbiamo aggiungere che tra i molteplici nomi attribuiti a Sophia nei vari miti gnostici c’è anche Prunikos, la lasciva: di nuovo un evidente collegamento alla peccatrice Maddalena.
Non voglio tuttavia escludere la possibilità che Maria sia realmente esistita e che abbia fatto parte di una ristretta cerchia di seguaci di Gesù, ma non mi sorprenderebbe se ella avesse interpretato, durante determinate cerimonie come appunto quella fondamentale dell’unzione messianica, proprio il ruolo sapienzale di Sophia.


In giro per Seborga…


Si giunge a Seborga dopo essersi inerpicati per una serie di stretti tornanti. Alcune bandiere a strisce bianco-azzurre ed il posto di dogana - in realtà un semplice casotto di legno che segna pomposamente il confine tra Seborga e lo Stato italiano - demarcano l’inizio della “prima Monarchia costituzionale al mondo” o di quella che, secondo i progetti della principessa Yasmine, dovrebbe diventare in futuro una nuova Gerusalemme Celeste, «avamposto dell’Occidente e del Cristianesimo».
Nei pressi dell’ampia piazza da cui si accede al centro storico e da cui si gode uno splendido panorama che si estende fino a Saint-Tropez, si erge solitario il piccolo oratorio medievale dedicato a San Bernardo di Chiaravalle. È una struttura semplice, priva di ornamenti, e l’interno è altrettanto spoglio e mostra diversi rimaneggiamenti di epoche più recenti. Una nicchia accoglie la statua dell’abate, riconoscibile dal candido saio ma, soprattutto, dalla capigliatura e dalla barba di un improbabile colore rosso e dal libretto che stringe in mano, su cui spiccano la croce templare e la scritta “Regola”.
Il centro storico è un alternarsi di tipiche viuzze acciottolate e di bassi archi di pietra. Sulla piazzetta principale spicca una gigantesca croce patente nera su sfondo bianco e si affaccia la coloratissima chiesa parrocchiale dedicata a San Martino di Tours che, assieme a San Bernardo, è il patrono di Seborga.
Sulla piazza c’è un altro edificio più antico, che è stato identificato come il Palazzo dei Monaci: ai piani inferiori sarebbe stata ubicata la Zecca, istituita nel 1666 e chiusa nel 1688. Il Principato ha ripreso l’usanza di battere moneta propria coniando il Luigino, privo di valore legale ma venduto nei negozi di souvenir ai collezionisti e a chi voglia tornarsene a casa con un piccolo ricordo della propria visita. Anche le targhe ed i passaporti emessi dal Principato hanno funzione esclusivamente folcloristica, ma sembra che queste abili mosse di marketing abbiano determinato un notevole afflusso di turisti e, di conseguenza, la rinascita di Seborga che, altrimenti, avrebbe rischiato di finire come uno dei tanti borghetti semi-disabitati sparsi per l’entroterra ligure.
Guardandosi intorno, è difficile scrollarsi di dosso la sensazione di trovarsi in una specie di parco giochi a tema “templare”, un’idea rafforzata dalla presenza di gigantesche figure bianco-vestite con spadoni e scudi che, dipinte sulle facciate di alcune case, fissano con aria severa i turisti che arrancano per gli stretti vicoli. Chi è alla ricerca delle tracce originali del passaggio dei Poveri Cavalieri di Cristo rimarrà purtroppo deluso: forse sono state cancellate dall’inesorabile avanzare del tempo, forse sono state distrutte a seguito dello scioglimento dell’Ordine o a causa delle ostilità che si vennero a creare tra Genova ed i Cavalieri durante la battaglia di San Saba, a San Giovanni d’Acri, per il possesso dell’omonimo monastero, in cui i Templari, accorsi in aiuto dei veneziani, si videro contrapposti all’esercito genovese.
Quale sia la verità, resta il fatto che il passato di Seborga, così denso di avvenimenti ed enigmi, sembra sconfinare spesso nella leggenda, e pensando all’accorata richiesta di «preghiere e non domande» con cui San Bernardo di Chiaravalle, spirito schivo e contemplativo, apre il suo famoso trattato De diligendo Dei, è quasi paradossale che la sua figura sia legata a questo paesino arroccato, le cui vicende storiche suscitano non pochi interrogativi.


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