venerdì 11 maggio 2012

LES SAINTES MARIES DE LA MER

Quando si parla di Francia istintivamente si pensa alla città di Parigi e alla sua vita dai ritmi frenetici vissuta all’ombra della Tour Eiffel, ma per chi si occupa dei misteri legati al Santo Graal e di conseguenza di tutti quegli argomenti che immancabilmente accompagnano il ricercatore nella sua “queste”, questo paese è molto di più: è un calderone magico di inesauribile ispirazione. Non dobbiamo inoltre dimenticare che il primo romanzo sul Graal, Le Roman de Perceval, fu scritto proprio qui, nella patria dell’amor cortese che fu cantato dagli antichi trovatori, raffinati e colti poeti-musicisti erranti che solitamente si esibivano alle corti dei nobili, soprattutto signori e dame della Linguadaoca e della Provenza.
Tappa fondamentale è il Sud della Francia e più esattamente il parco regionale della Camargue, posto tra il mar Mediterraneo ed il delta del fiume Rodano. È una zona ricca di contrasti e quello più estremo è rappresentato dall’elegante cavallo bianco e dal toro nero da combattimento che allevati insieme allo stato brado sembrano voler incarnare il concetto taoista dello Yin e dello Yang, in cui gli opposti si integrano e si completano a vicenda. In una piazza della località balneare di Saintes Maries de la Mer, capitale della Camargue, c’è un monumento che esprime alla perfezione lo spirito libero di questa terra di sconfinate praterie e paludi: raffigura un gardien, un guardiano delle mandrie, un personaggio chiave della tradizione camarguese, che può essere paragonato ad un cow-boy del Far West o ad un buttero maremmano. Il suo strumento di lavoro, il tridente, figura, infatti, assieme al cuore (la Carità), l’àncora (la Speranza) e la croce (la Fede), nell’emblema della regione.
Saintes Maries de la Mer, tuttavia, non è soltanto famosa per il paesaggio indomito che la circonda ma anche per la sua storia e le sue leggende millenarie. Si racconta che sui suoi lidi siano approdati, su una barca senza remi né vele, alcuni seguaci di Gesù, in fuga dalle persecuzioni iniziate in Palestina dopo la crocifissione del Cristo. Tra gli esuli ci sarebbero state le Marie che hanno dato il nome alla località, ovvero Maria di Cleofa o Jacobi, sorella di Maria di Nazareth e madre di Giacomo, Maria Salomè, madre di Giovanni l’Evangelista, e Maria Maddalena, e secondo un’altra versione anche Lazzaro, sua sorella Marta e Giuseppe di Arimatea con il santo calice.
Il fulcro attorno al quale si sviluppa il borgo è Notre-Dame-de-la-Mer, Nostra Signora del Mare, una imponente chiesa-fortezza che fu costruita ai tempi di Carlo Magno probabilmente sopra una precedente cappella merovingia. Chiamarla fortezza non è un eufemismo: durante le frequenti incursioni dei pirati saraceni, gli abitanti del paese si riparavano con il loro bestiame tra le sue solide mura e potevano restare al sicuro per lungo tempo grazie anche alla presenza di un pozzo le cui acque sono tuttora considerate miracolose. Si entra nella chiesa passando da una piccola porta laterale. L’edificio, costituito da un’unica navata, è oscuro e cavernoso tanto da ricordare un arcaico tempio dedicato alla Magna Mater, la Grande Madre, una impressione che viene rafforzata dal fatto che in Notre Dame è predominante il principio femminile.
Un bel quadro della Maddalena sovrasta le statue di Maria Jacobi e di Maria Salomè, rappresentate all’interno di una piccola imbarcazione in ricordo del loro arrivo sulle coste francesi. Tutte e tre hanno un vasetto di aromi poiché, nei Vangeli, sono descritte come le donne che si recarono al sepolcro di Gesù, portando oli profumati. Incassato in uno dei pilastri, c’è il cosiddetto “cuscino delle sante”, una lastra di marmo che fu rinvenuta, durante alcuni scavi effettuati nel 1448, in prossimità di alcuni crani disposti a croce e di due corpi femminili, i presunti resti di Maria Jacobi e di Maria Salomè, che sono conservati in due teche nella cappella superiore.
Una breve rampa di scale conduce nella minuscola cripta, in cui le fiammelle di centinaia di candele illuminano a malapena la figura di una fanciulla dalla pelle color ebano, avvolta in mantelli riccamente ricamati ed adorna di gioielli: è Sara la Kali, Sara la Nera, la misteriosa dea-patrona degli zingari, che, secondo la tradizione, «era a conoscenza di molti segreti». È curioso il fatto che, nell’apocrifo Dialogo del Redentore, Maria Maddalena sia descritta come una donna che “sapeva tutto”. Potrebbe dunque esserci un collegamento tra la figura della Maddalena e quella meno nota di Sara la Nera.
Ci vuole un po’ di tempo per abituarsi al caldo opprimente della cripta, alla sensazione di claustrofobia e ad una sorta di stordimento che, con molta probabilità, è dovuto alla particolare energia emessa dalla sorgente sotterranea che alimenta il pozzo. Non a torto gli zingari chiamano questo spazio angusto il “ventre della madre”.
Il culto di Sara la Kali ha origini ancora incerte ma potrebbe affondare le proprie radici in quello della dea egizia Iside, definita dal grande alchimista Fulcanelli “la madre di tutte le cose e la dispensatrice della rivelazione e dell’iniziazione”. Secondo Fulcanelli le camere sotterranee dei templi pagani servivano come dimora per le statue di Iside che, con il tempo e la diffusione del Cristianesimo, furono trasformate nelle cosiddette Vergini nere. Il culto delle Madonne nere fu introdotto in Italia da S. Eusebio (IV sec. d.C.), dopo che ebbe ritrovato a Gerusalemme una statua lignea della Vergine. Il colore del volto dell’effigie, però, era stranamente scuro; in un primo momento si pensò che il legno fosse annerito dal fumo delle candele utilizzate nelle cerimonie ma, dopo accurati restauri, si scoprì che quello era invece il colore primitivo.
La teoria che il culto di Sara sia da ricercare nell’antico Egitto troverebbe riscontro nell’affermazione del famoso storico Camille Jullian che ha identificato Saintes-Maries con l’oppidum priscum Ra, l’antica fortezza di Ra, dio egizio del Sole. Nell’era cristiana Ra divenne Ratis, termine che significa isolotto o barca (un riferimento alla barca con i seguaci di Gesù oppure alla barca solare degli antichi egizi?), e solo nell’800 si ebbe la definitiva trasformazione da Saintes Maries de Ratis a Saintes-Maries de la Mer.
L’immagine di santa Sara, una santità che però non è mai stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica, è circondata dai numerosi ex-voto e doni lasciati dai gitani provenienti da mezza Europa. Un tempo, a causa di una certa paganità che ancora permea la cultura Rom, alle gens du voyage non era neanche concesso di entrare in chiesa. Fu per l’intercessione del marchese Folco de Baroncelli, il discendente di una famiglia fiorentina esiliata ad Avignone dai Medici che, innamorato della Camargue, aveva rinunciato ai propri beni per poter abbracciare la rude vita del gardien, che gli zingari riuscirono ad ottenere alcune importanti conquiste, fra cui il permesso di portare la statua della loro patrona in processione per le vie del paese. Quando il marchese morì gli zingari organizzarono un suntuoso funerale con più di trecento tori al seguito del corteo.
Tornando alle origini di Sara la Kali, ella sarebbe stata una nobile e saggia principessa zingara a capo di una tribù stanziata sulle sponde del Rodano. Si narra che un giorno Sara sognò che la barca su cui si trovavano i seguaci di Gesù si stava avvicinando alle coste ma era in grave pericolo per via del mare in tempesta. La giovane si recò allora, assieme alla sua gente, nel punto esatto in cui, secondo la sua visione, l’imbarcazione rischiava di fare naufragio, e trasse in salvo i fuggitivi. Una volta curati, i discepoli avrebbero preso strade diverse. Maria Maddalena si sarebbe diretta verso il massiccio di Sainte Baume, dove sarebbe vissuta in penitenza in una grotta per ben trent’anni, Lazzaro sarebbe divenuto il primo vescovo di Marsiglia, mentre Maria Salomé e Maria Jacobi, ormai in età avanzata, avrebbero scelto di rimanere in Camargue, convertendo la popolazione al credo cristiano attraverso la parola di Gesù ed alcuni miracoli: sarebbero state infatti loro a far scaturire la sorgente d’acqua dolce che scorre sotto Notre-Dame-de-la-Mer. Guarda caso, in Italia, esattamente sul Sasso di Pale in Umbria, c’è un Eremo dedicato a Maria Jacobi, anch’esso famoso per le proprietà terapeutiche delle sue acque. L’edificio più antico del complesso è la chiesa, ricavata all’interno di una grotta e ricoperta interamente da affreschi. Sulla volta troneggiano un Cristo benedicente ritratto in una mandorla mistica (simbolo di illuminazione interiore), di probabile scuola senese, e un Cristo benedicente tra angeli. Sulla parete di sinistra ci sono numerose rappresentazioni della Madonna col Bambino, ma soprattutto un grande Cristo tunicato, la cui particolarità è che ha i piedi immersi in due calici di diversa foggia. La fondazione del monastero risale a circa la metà del XIII secolo ed è legata ad una leggenda che vuole che in una grotta del Sasso di Pale S. Maria Jacobi si sia rifugiata a fare penitenza. In realtà sappiamo che fu la Maddalena che visse in completa solitudine in una caverna per moltissimi anni, perciò potrebbe trattarsi di uno scambio di persona, peraltro comprensibile: Maria, la madre di Gesù, Maria Maddalena, e “l’altra Maria”, ovvero Maria Jacobi, vengono infatti spesso confuse tra loro.
Secondo altre versioni Sara la Kali era la schiava egizia (nuovamente un legame con l’Egitto) di Maria Salomè e di Maria Jacobi, la badessa di un importante convento in Libia o una martire persiana, mentre in quella propugnata da molti zingari, e la più affascinante dal punto di vista graalico in quanto riprende la teoria del Graal come linea di sangue, era in realtà la figlia segreta di Gesù e della Maddalena. A questo proposito colpisce il racconto secondo cui la giovinetta, vedendo che i discepoli in fuga erano in difficoltà e non riuscivano ad avvicinarsi alla terraferma, sarebbe accorsa in loro aiuto stendendo sulle acque agitate il proprio mantello e camminandovi sopra: un miracolo che non può che ricordare quello del Messia presso il lago Tiberiade!
Qualunque sia la verità su questa intrigante figura, il villaggio di Saintes Maries de la Mer è da tempo immemorabile una meta di pellegrinaggio per migliaia di Rom - e non solo - che ogni anno si riuniscono per condurre la statua della loro patrona ed i resti di Maria Jacobi e di Maria Salomé fino al mare, secondo una tradizione molto antica risalente ai tempi in cui i Rom praticavano ancora una religione politeista e tra le loro usanze c’era quella di trasportare sulle spalle l’immagine di Ishtar, la dea babilonese della fertilità e dell’amore, e di entrare con essa nel mare per riceverne la benedizione.
La processione variopinta che possiamo ammirare a Saintes Maries ogni 24 di maggio avviene alla presenza dei gardiens, che in sella ai loro cavalli bianchi scortano la statua fino al mare e formano poi un cerchio “di protezione” attorno ad essa ed ai portatori che entrano nell’acqua fino alla vita, mentre la folla composta da uomini, donne e bambini di etnie diverse canta, prega, getta fiori ed invoca la protezione della santa. Una volta ricondotta l’immagine nella cripta, la processione si trasforma in una festa tra sacro e profano che, scandita dalla musica delle chitarre, dei tamburi e dei famosi violini tzigani, prosegue fino a notte fonda attorno alla grandiosa chiesa-fortezza di Notre-Dame. Il giorno dopo è la volta della altre due sante che, come Sara, sono condotte fino al mare per simboleggiare il loro arrivo in terra di Camargue.


Sembra che negli ultimi anni il culto per Sara la Nera sia notevolmente accresciuto rispetto a quello di Maria Jacobi e di Maria Salomé e che sempre più gente, da varie parti del globo, giunga a Saintes-Maries per celebrarla. È probabile che il grande afflusso di visitatori abbia a che fare con la pubblicazione del controverso romanzo di Dan Brown, Il Codice Da Vinci, che, scatenando le ire dei più, ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, portando così a conoscenza di un vasto pubblico il personaggio della giovane Sara: potenza della pubblicità!

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