martedì 15 maggio 2012

L’ABBAZIA DI SAN GALGANO


L’abbazia di San Galgano, in provincia di Siena, è uno dei primi esempi di architettura gotica cistercense in Italia.
Edificata tra il 1220 ed il 1268, è adesso un antico rudere che tuttavia si staglia ancora imponente nel mezzo della campagna toscana a testimonianza del suo glorioso passato.
Le prime cose che si notano appena varcata la soglia è l’abside con le sue grandi finestre a sesto acuto e l’ampio rosone che, ormai senza vetri, si spalancano come orbite vuote sul cielo ed il fatto che la chiesa sia priva di tetto, crollato nel 1768 dopo secoli di incuria. Camminando lungo la navata principale si viene subito colpiti dal silenzio, rotto di tanto in tanto dai timidi sussurri dei visitatori, dal soffiare del vento e dal tubare dei colombi, suoni che hanno ormai sostituito il canto dei salmi e delle sacre scritture, ed ammirando le imponenti colonne con i loro capitelli scolpiti con motivi tipicamente romanici, le volte e gli altri particolari architettonici progettati secondo i parametri della Geometria Sacra, di cui i monaci cistercensi erano grandi conoscitori, non si può non pensare a come doveva essere l’abbazia nel suo periodo di massimo splendore. Grazie ai numerosi privilegi che le erano stati concessi da imperatori come Enrico VI e Federico II e a cospicue donazioni private, essa era diventata un importante centro di riferimento per tutto il territorio senese, ma proprio la fama e la ricchezza contribuirono al suo declino: le scorribande degli eserciti mercenari fiorentini ed una amministrazione disattenta determinarono il graduale abbandono del complesso da parte dei monaci, che nel 1474 si ritirarono a Siena. L’abate commendatario arrivò addirittura a far rimuovere e a vendere la copertura di piombo, e nel 1789 San Galgano, ormai sconsacrata e fatiscente, fu trasformata in un’enorme cava di pietre per le case dei paesi limitrofi e poi in fattoria.
Posto su una collinetta a poche centinaia di metri dall’abbazia c’è l’eremo di Montesiepi, il nucleo originale del complesso monastico e fulcro della leggenda del santo di Chiusdino.
La vita di Galgano Guidotti ricorda per alcuni aspetti quella del più ben noto San Francesco di Assisi. Giovane nobile arrogante e presuntuoso, con un passato da cavaliere di ventura ed amante della bella vita, fu visitato in sogno dall’arcangelo Michele e condotto a Montesiepi, dove in uno spazio sotterraneo «... trovavasi dodici apostoli in una casa rotonda, li quali recavano uno libro aperto». Alzando gli occhi al cielo, Galgano vide una forma luminosa nell’aria e chiedendo agli apostoli cosa fosse, gli fu rivelato che si trattava della Maestà divina. Da quel momento iniziò la conversione del giovane che, noncurante della disperazione della madre e della fidanzata e dello scherno dei compagni cavalieri, predicò per Siena e dintorni ed infine si ritirò a vita eremitica. Come segno tangibile di rinuncia al proprio violento passato conficcò la propria spada in una roccia. Fu appoggiato a quell’arma-simbolo che egli morì di stenti all’età di soli trentatre anni. Secondo la tradizione, la spada che si trova infissa, da più di otto secoli, in una pietra al centro dell’eremo è proprio quella di Galgano.
L’eremo di Montesiepi, chiamato anche Rotonda, fu edificato subito dopo la morte del Santo, tra il 1182 ed il 1185. Il fatto che sia a pianta circolare, una forma che nel Medioevo era collegata al mondo pagano in quanto ricordava i templi ed i mausolei romani e le tipiche tombe etrusche “a tumulo”, e perciò automaticamente al Male, ha scatenato una ridda di ipotesi fra chi ha visto nella scelta di tale figura un significato nascosto. In realtà, è possibile che la Rotonda sia l’ennesima rappresentazione dell’Anastasis di Gerusalemme, la cappella fatta costruire dall’imperatore Costantino sopra il presunto Sepolcro di Gesù Cristo, in quanto era consuetudine erigere lungo le principali vie di pellegrinaggio edifici che riproducessero i luoghi sacri della Terrasanta. L’impianto circolare è, inoltre, caratteristico dei luoghi di culto consacrati all’Arcangelo Michele, il comandante supremo dell’esercito celeste che apparve in sogno al nobile cavaliere di Chiusdino spingendolo a cambiare il proprio percorso di vita.
È tuttavia indiscutibile che il cerchio sia una figura fondamentale della geometria occulta. Non avendo né inizio né fine, esso esprime l’eternità ma è anche utilizzato per rappresentare la caverna, il centro della Terra, e a questo proposito, c’è un racconto secondo cui l’arcangelo Michele sarebbe apparso, un giorno, a San Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto (l’odierna Manfredonia), ed indicandogli una caverna sul Monte Gargano, in cui originariamente si tenevano riti pagani, lo avrebbe invitato a dedicarla alla fede cristiana: da lì il culto dell’arcangelo si sarebbe poi diffuso in tutta Europa. Questo aspetto si fa interessante se pensiamo che la tradizione vuole che l’eremo di Montesiepi sia stato costruito proprio sopra una grotta, la stessa in cui San Galgano avrebbe trascorso i suoi ultimi anni di vita, e che sempre in una cavità sotterranea egli abbia visto, in sogno, gli apostoli e la Maestà Divina.
Il cerchio ha un ulteriore significato: simboleggia infatti l’utero materno e se alla caverna/utero associamo la presenza di acqua, elemento inequivocabilmente femminile, (sotto la Rotonda confluiscono due corsi di acqua), e la spada, simbolo inequivocabilmente maschile, la cui caratteristica forma a croce evidenzia la congiunzione dei due principi, ecco che tutto ci riconduce ad antichi riti di fertilità. Il nome Montesiepi (Mons saeptus) indica chiaramente una altura con septa cioè con divisori che, in passato, potrebbero aver delimitato delle aree destinate a particolari cerimonie; inoltre, originariamente, Montesiepi era chiamato Cerboli, che rimanda al cervo, animale sacro al popolo dei Celti, ed automaticamente al dio Cernunnos, signore della Natura, ma anche a Cerbero, mostruosa creatura della mitologia greca a guardia dell’ingresso dell’Oltretomba.
Nelle campagne le tradizioni pagane avevano radici particolarmente profonde e Cristianesimo e Paganesimo spesso si fondevano dando vita a quella particolare combinazione di sacro e profano che ritroviamo in numerosi temi popolari. Anche il sogno di Galgano presenta tutti gli elementi caratteristici della mitologia di molte culture pre-cristiane e sembra descrivere un vero e proprio percorso iniziatico di morte e di rinascita che ricorda la discesa agli inferi compiuta dalla babilonese Ishtar, dal sumero Gilgamesh, dai greci Enea, Ulisse, Orfeo e Persefone e da molti eroi celtici.
Prima di giungere a destino, l’eroe-cavaliere Galgano deve attraversare un ponte altissimo e malfermo (il tramite fra mondo terreno ed ultraterreno) sotto cui scorre un fiume impetuoso (l’acqua che rigenera, la Fonte della Vita), poi un prato fiorito (simbolo della caducità delle cose terrene) e solo allora, attraverso un varco sotterraneo (l’accesso al Mondo Inferiore), egli raggiunge uno spazio circolare (il grembo della Madre Terra) in cui ha la visione dei dodici apostoli o saggi, a seconda delle varie versioni, e della forza creatrice sotto forma di luce abbagliante (la rinascita). Il numero dodici gioca a sua volta un ruolo fondamentale poiché, oltre ad essere collegato al simbolismo della ruota e perciò nuovamente al cerchio, esprime anche il ricongiungimento dell’uomo con la divinità.
Mancando documenti contemporanei a Galgano (i più antichi in nostro possesso sono tre Vitae risalenti al 1300), è ovvio che la storia del cavaliere-eremita presenti molti punti oscuri. Di un fatto in particolare però siamo certi: fu beatificato in tempi brevissimi e decretato patrono di Siena e poco dopo fu sostituito e declassato a santo minore senza alcuna ragione apparente. È logico supporre che la nomina a patrono abbia focalizzato su questo personaggio, già di per sé eccezionale, una notevole attenzione e di sicuro richiamò nella zona numerosi fedeli. Il declassamento a “santuccio è stato spiegato come un’opera di copertura voluta dalla Chiesa per porre rimedio ad una situazione inaspettata ed imbarazzante, forse addirittura ad un movimento eretico.
È innegabile che in quell’epoca di fervore spirituale le foreste e le zone più impervie fossero popolate da folle di eremiti - spesso ex-crociati che per andare a combattere in Terrasanta si erano lasciati alle spalle tutti i loro averi - che, proclamando con l’esempio e la parola l’umiltà, la povertà e la purezza, si rifacevano, più o meno consapevolmente, alle dottrine degli eretici Catari che, dalla Francia, si erano diffusi anche in Italia, a volte aggregandosi ai membri delle varie comunità monastiche.
La scelta di Galgano di rinunciare alle armi, di svolgere una iniziale attività di predicatore itinerante, di vivere in rigorosa ascesi, di praticare la castità, di nutrirsi esclusivamente di erbe selvatiche e di pane e di lasciarsi morire di stenti ricorda il lungo e duro cammino che veniva intrapreso dai boni homines catari e che, nei casi più estremi, poteva sfociare nel suicidio rituale attraverso il digiuno, l’endura, come forma radicale di rifiuto dei beni terreni e del proprio corpo. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che le grotte spesso fungevano da luoghi di iniziazione per i giovani neofiti catari e che, nel famoso sogno, gli apostoli o saggi «recavano uno libro aperto» che potrebbe ricollegarsi al secretum, il libro segreto dei Catari, ecco che abbiamo già numerosi elementi a sostegno dell’ipotesi sopra citata. Purtroppo, non esistendo dati certi che comprovino l’identità storica di Galgano, possiamo solo fare delle congetture, ma se questi fosse realmente vissuto e fosse stato al centro di un importante movimento ereticale, di sicuro la Chiesa si sarebbe affrettata a far sparire ogni prova scritta relativa ad un personaggio fin troppo amato dal popolo e perciò estremamente scomodo.
Nel centro dell’eremo di Montesiepi c’è la presunta spada del santo, conficcata saldamente in un blocco di pietra e ben protetta da una spessa cupola di plexiglas anti-vandalo, collocata dopo che, diversi anni fa, qualcuno spezzò la lama nel tentativo di rubarla. La modernissima teca, inserita nel suggestivo contesto romanico dell’eremo, per fortuna non riesce del tutto a smorzare la magia che circonda quest’arma dalla linea semplice e pulita, che, come la mitica spada di Re Artù, sembra attendere che un cavaliere puro di cuore la estragga dal suo letto di pietra. Si è addirittura ipotizzato che essa possa aver ispirato la leggenda di Excalibur in terra di Bretagna anche se è impossibile dire attraverso quali canali di circolazione. Se l’arma risalisse realmente al 1180, la sua storia precederebbe di anni quella della più ben nota “spada nella roccia”. Il nome stesso di Galgano è molto simile a quello di uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda: Sir Gawain, italianizzato in Galvano, nobile protagonista del poema Sir Gawain and the Green Knight, di anonimo, databile al XIV secolo. Non mi sento di scartare a priori una possibile influenza del mito del santo di Chiusdino su quello bretone: gli apostoli o saggi del sogno sono dodici come i cavalieri di Re Artù, l’edificio in cui essi sono riuniti è circolare come la Tavola Rotonda e la forma luminosa che il giovane cavaliere Galgano/Galvano vede librarsi nell’aria può essere paragonata alla visione “celestiale” del Graal descritta nei romanzi del ciclo arturiano. C’è un’altra importante considerazione da fare: l’arcangelo Michele, colui che guida Galgano durante il suo cammino iniziatico, secondo un’antica leggenda ripresa da Wolfram von Eschenbach per il suo Parzival (circa 1200), poema ambientato alla corte di Artù, avrebbe colpito con la propria spada Lucifero durante un epico scontro, facendogli cadere dalla fronte uno smeraldo, ritrovato poi dal saggio re Salomone e trasformato in una coppa per libagioni: la coppa che sarebbe stata successivamente usata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena, il Sacro Graal.
L’eremo di Montesiepi compare nella lunga lista di luoghi candidati a nascondiglio del sacro calice. Secondo lo studioso Vincenzo Dell’Aere, l’enigmatica iscrizione, apparentemente senza senso, che si trova nella basilica di San Nicola di Bari indicherebbe proprio il sacello dell’Eremo di Galvano (Galgano) come luogo di provenienza del sacro Gradale (Graal). L’Eremo di Montesiepi, inoltre, presenta un curioso tetto a cupola formato da cerchi concentrici che richiama alla mente l’immagine di una coppa rovesciata e che potrebbe essere pertanto un ulteriore indizio a favore della teoria graalica, anche se, più probabilmente, si tratta della raffigurazione della volta celeste. Con le sue fasce cromatiche esso trasmette una sensazione di vertigine, tanto che si ha l’impressione di essere risucchiati in un vortice verso l’alto: forse l’obiettivo dell’architetto era quello di rappresentare simbolicamente il viaggio dell’anima verso l’infinito.
È interessante che figure spiraliformi, costituite da più anelli concentrici, siano state rinvenute incise sulle pareti di alcuni edifici appartenenti all’Ordine dei Cavalieri Templari. Non è nuova la teoria che nell’edificazione dell’eremo di Montesiepi vi sia stata una influenza templare e benché a confutare questa ipotesi ci sia il fatto che i Cavalieri del Tempio giunsero a Chiusdino parecchi anni dopo la morte di Galgano, nel territorio senese esistevano già da tempo alcune magioni. In effetti molte delle cappelle dell’Ordine avevano forma circolare (ne è un esempio la famosa Temple Church a Londra) ed inoltre nella sala capitolare dell’abbazia di San Galgano, su una volta, è ben visibile un cosiddetto “nodo di Salomone” o nodo templare, mentre sul capitello di una delle colonne della chiesa spicca una piccola testa barbuta, che identificata con quella del mastro scalpellino Ugolino di Maffeo potrebbe invece rappresentare la testa di Giovanni Battista, santo patrono dei Templari. Da segnalare, infine, che a pochi chilometri dal sito monastico c’è località Mulinaccio, che deve il suo nome alla presenza di un mulino di proprietà dell’abbazia che, tuttavia, nell’atto di concessione ai monaci cistercensi, era già stato definito vetus ovvero vecchio: a chi apparteneva prima di passare ai monaci? Molte importanti precettorie templari sorgevano nei pressi di corsi d'acqua ed avevano il proprio mulino.
Sul lato nord dell’eremo di Montesiepi c’è una cappelletta realizzata nel 1300 ed affrescata da Ambrogio Lorenzetti. Nel dipinto sopra l’altare si nota, abbigliato con le tipiche vesti da Cistercense, San Bernardo di Chiaravalle, figura indissolubilmente legata all’Ordine del Tempio in quanto ne caldeggiò presso il Papa la costituzione e ne redasse la Regola basata su quella benedettina, ma anche grande studioso del fenomeno del Catarismo, tanto da stilare un dettagliato rapporto per papa Innocenzo III giunto a noi in versione integrale. C’è anche una bellissima Madonna in trono con il Bambino che presenta una peculiarità: ha infatti tre mani. Tale anomalia è stata attribuita ad un (improbabile) errore dell’artista, per alcuni, invece, il dipinto celerebbe una oscura simbologia, ma l’ipotesi più verosimile è che questa singolarità sia dovuta ad una sovrapposizione di più affreschi. Tuttavia, la Madonna con tre mani raffigurata assieme al Bambin Gesù non è affatto una rarità: detta Tricherusa è, ad esempio, molto frequente nell’iconografia ortodossa.
Appoggiata ad una parete della cappella c’è una teca di vetro coperta da un drappo di stoffa rossa. Contiene due arti umani mummificati, mani ed avambracci, che secondo l’agiografia apparterrebbero agli “uomini invidiosi” che, nel 1181, tentarono di estrarre la spada dalla roccia per distruggerla mentre Galgano era assente e che per questo furono colpiti da un fulmine e sbranati da un lupo. Ripensando ai vandali che hanno danneggiato la spada per rubarla, arrivando addirittura a trapanarla, ci si rendo conto di come siano cambiati i tempi e con essi anche le punizioni divine. Difficile dire a chi appartengano realmente quei macabri reperti anche se con la radio-datazione è stato possibile stabilire che risalgono al XII secolo ed è stato pertanto ipotizzato che possano essere i resti dei primi seguaci del santo eremita: viene però da chiedersi se possano invece appartenere ad un unico individuo, forse allo stesso santo, dato che al momento, l’unica reliquia attribuita a Galgano è il cranio, conservato nella chiesa di San Michele di Chiusdino. Sarebbe dunque opinabile un test del DNA per poter accertare un eventuale collegamento tra il teschio e gli arti mummificati.
È curioso che delle reliquie del santo, che sarebbero andate disperse dopo la caduta della Repubblica di Siena, sia rimasta soltanto la testa, come se questa fosse stata oggetto di una particolare venerazione e perciò più meritevole di essere posta in salvo rispetto al resto del corpo. Per i Celti il cranio era considerato un ricettacolo di poteri occulti e per questa ragione occupava un posto di primo piano nei culti druidici, una tradizione che sembra essere stata ripresa dai Templari. È stato dimostrato che l’Ordine possedesse idoli a forma di testa con più od una sola faccia ed anche crani umani e la maggior parte delle sepolture dei Poveri Cavalieri di Cristo era riconoscibile dalla raffigurazione di due tibie incrociate sormontate da un teschio.
A questo punto possiamo trarre delle interessanti conclusioni.
Galgano era in origine un nobile cavaliere, anche se non ci è dato sapere se appartenesse ad un ordine specifico, ma poiché i Templari erano spesso reclutati tra i giovani nobili, erano organizzati come un vero e proprio ordine monastico tanto da essere definiti “simili ad eremiti” e non si esclude la possibilità che tra di essi fossero circolate pericolose idee catare, che forse furono alla base dell’accusa di eresia mossa contro l’Ordine, ecco che si viene a creare una trama molto più complessa di quanto possiamo immaginare.
Di sicuro all’affascinante storia di San Galgano non possiamo ancora porre la scritta fine.






2 commenti:

  1. Per capire il valore di quei circoli concentrici di cui alla foto sopra leggasi: https://www.academia.edu/13959714/I_SEGNI_d_ACQUA_dalla_Preistoria_al_Medioevo_con_testimonianze_dalla_Lunigiana_

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  2. Per capire il valore di quei circoli concentrici di cui alla foto sopra leggasi: https://www.academia.edu/13959714/I_SEGNI_d_ACQUA_dalla_Preistoria_al_Medioevo_con_testimonianze_dalla_Lunigiana_

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